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Recensioni

FRANCESCA SERRAGNOLI,
“NON È MAI NOTTE NON È MAI GIORNO”
(INTERNO POESIA, 2023)

di Gisella Blanco

Un’opera in equilibrio, più che di equilibri, l’ultima di Francesca Serragnoli, Non è mai notte non è mai giorno, edita da Interno Poesia con una lunga e partecipata prefazione di Isabella Bignozzi.

Una silloge che, sin dall’uscita, ha ricevuto un’ottima accoglienza dalla critica perché è capace di centrare vari punti focali della contemporaneità, riuscendo a far sparire qualsiasi certezza ogni volta che sia più utile sentirsi perduti invece che sicuri di cammino predestinato.

L’amore per Cristina Campo, già molte volte dichiarato dall’autrice e presente nell’opera sia con una dedica in versi specifica che con un importante cenno nella nota conclusiva, si concretizza nel tono di invocazione non richiestiva di molti testi della raccolta, in cui Serragnoli scopre e sviscera le nudità psico-etiche umane senza domandarsi e comandarsi un preciso ristoro.


I disegni che accompagnano le sezioni, pur avendo l’autrice dichiarato che siano irrelati ai testi, a partire dalla scelta cromatica (bianco e nero) e dalla sensazione di essere come diapositive che mostrano non l’immagine nel dettaglio ma le sagome necessarie alla scena complessiva, appaiono quanto meno ben consustanziati alla sequenza delle poesie del libro. 

L’alternanza delle dicotomie, di cui notte/giorno rappresenta la summa e, insieme, la risoluzione esemplificativa più efficace, viene continuamente introdotta con un’allocuzione almeno in parte diaristica, pur senza rinunciare a una certa lievità di figurazioni che rende le poesie agite da una ipnotica energia onirica, simbolista, provocatoriamente antirealista: «Lasciami entrare nel fondale / dal collo d’incenso // se ti muovi / si sfalda come una scala».


Qualsiasi descrizione sfugge dal fatto concepibile per sedimentarsi con lentezza in un ambiente pregno di segnali, musicale nelle espressioni e nelle omissioni, in cui perfino le donne e gli uomini non possono essere nominati né individuati, e appaiono come ombre dei loro movimenti spirituali.

Tra ossimori, sinestesie e paradossi si annidano figure di suono che lasciano accavallarsi più piani ermeneutici per giungere, qualche volta, perfino all’evanescenza dell’idea: «Il regno di salire / nel punto più alto di una mano / e gettarsi nell’altro ramo / è il balzo di vivere». Ciò che rimane in questi vertiginosi climax e anticlimax è il senso d’inspiegabilità, quel fine ultimo della poesia che resiste al dogma della sconfitta dei canoni (formali e non).


Lo sbriciolamento apparentemente materico di un reale che non esiste, nella prima sezione, lascia all’ecfrasi delle molteplici opere d’arte presenti nelle esistenze umane la disamina sui meccanismi interiori, nascosti nell’animo umano ma mai soppiantati dalla finzione comportamentale dei singoli individui. Un «buio lentissimo» inonda lo spazio emotivo, e ricorda lo straniamento irrisolvibile da qualsiasi dimora empirica di Paul Celan, la sua implacabile inappartenenza geografico-spirituale, «sentinella di ogni addio» prematuro.

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Uno sguardo che si allontana dal soggetto e lo sorveglia latente, senza temere sdoppiamenti identitari o scoperte troppo dolorose: «mi allontano di poco / per spiare cosa trema di me». E questo tremore confessato ma non sempre condivisibile ricorda la timida caparbia che rende ossimoricamente mondana l’esperienza artistica di Emily Dickinson, non appagata della corrispondenza del mondo con la sua visione immaginativa e affettiva. D’altronde è dall’azzeramento del sé che può aver origine l’uno (con il suo possibile moltiplicarsi): «ogni ramo si spezza come una porta / (l’infinita ospitalità del vuoto)».

Emerge un’indefessa fede nel ribaltamento del dolore: «e mentre vai via / trovo in terra il dépliant dell’alba».

I riferimenti culturali e linguistici arricchiscono il dettato di una tonalità di meraviglia, che può sembrare propensa verso l’ironia o il dramma, o ancora verso quel sarcasmo nostalgico che si può incontrare in alcune voci femminili d’oltralpe (Szymborska o Glück, per esempio): «Mi aggrappo al segreto frantumare / delle tue dita / frolle di enjambement / in una bara di zucchero».


I piccoli gesti quotidiani, quelle parcelle della memoria che non si riescono ad evadere, suggellano i passaggi emotivi dei testi e fra i testi, suggerendo la presenza di una storia importante dietro lo sbriciolamento delle immagini e la rarefazione dell’esperienza.


Un’ultima sezione di brevi prose poetiche progredisce numericamente in un susseguirsi di Camere d’ospedale, comparti esistenziali in cui il tempo sembra fermarsi e le priorità, perfino quelle espressivo-formali, sembrano cambiare del tutto.

Se nel verso si cela una irrefrenabile richiesta d’amorevolezza sia negli addii che negli abbracci, sia nel presente che nei ricordi, l’atto poetico rimane un luogo neutro «dove incrocio le braccia / sul mio domani». La dicotomia «Come una madre o come una croce», che metteva in luce Serragnoli nel penultimo libro, forse, non ha più importanza.



***


Quando viene sera


scavato all’osso dalle guance

il rossore dell’ultimo fuoco


in fondo a un miracoloso quadro di Hopper


lei seduta sul letto

nell’ora più calma della notte


si alza come per destarsi

dalla donna dalla madre


non sai dove va

la finestra è spalancata

la luna e il sole girano come mosche


il bambino solamente il bambino

getta via i pianeti dal letto

batte le mani

come l’aria fosse la porta


il fiato soffia

negli occhi feriti dal vuoto


il pianto e il riso

aprono e chiudono la stessa rosa.



***


Apro gli occhi

l’acqua cola

dalle scale di un condominio

con lo stupore dei disastri

esco a prendere terra

riempio la bocca d’impasto vivo


dalle tue labbra

una bava d’edera

poggia in terra

la nera scia del mare.



***


Quando il blu prende l’alba

e la posa delicatamente nell’aria

e la colomba rimane impigliata

al gesto di volare

precipita nel gesto

ogni ramo si spezza come una porta

(l’infinita ospitalità del vuoto).



***


Il tuo sorriso

stringe una spugna

di mare caldo sul ventre


non sai quando apri e chiudi


cosa sia


cadere in quell’acqua

che ti cade dalle mani.



*

Fotografia © David Hurn


08/02/2024

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