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Nel suo volume Poesia italiana del Novecento (1969), Edoardo Sanguineti scrive di Quasimodo: «Il suo più vero contributo originale alla poesia del nostro secolo non è da riconoscersi nella produzione creativa, ma nelle traduzioni dei Lirici greci, che sono uno dei documenti più significativi dell’intera stagione ermetica». Tale giudizio, che vincola e subordina il lavoro di Quasimodo autore a quello di Quasimodo traduttore, può essere condivisibile o meno, ma ha il merito di sottolineare l’importanza e l’incisività delle traduzioni del poeta di Modica.


La raccolta dei Lirici greci, prima opera della classicità ad essere tradotta da Quasimodo, viene data alle stampe nel 1940. Se da un lato il poeta si sente spinto da una «ragione di sangue» – sua nonna era una greca di Patrasso –, dall’altro il rapporto con la cultura classica assume un significato storico, legato allo scoppio della Seconda Guerra mondiale: in un simile contesto, l’universalità del messaggio dei lirici greci suona da ammonimento e, nel contempo, offre una sorta di consolatorio riscatto.


A questo lavoro succederanno, nell’ordine, il Fiore delle Georgiche di Virgilio (1942), il Vangelo secondo Giovanni (1946), il Fiore dell’Antologia Palatina (1958/1968) e i Tragici greci (1963).


Il volume di traduzioni del Fiore dell’Antologia Palatina esce in una prima edizione per Guanda, con introduzione e note a cura di Caterina Vassalini. Nel 1968 l’opera è riedita per conto di Mondadori con il titolo Dall’Antologia Palatina. La differenza più evidente è l’aggiunta di ulteriori quindici epigrammi di Leonida di Taranto; in questo modo i testi passano da 230 a 245. Segue una terza edizione nel 1977 per Garzanti, con introduzione a cura di Ezio Savino.


È evidente come Quasimodo non si adegui all’impianto originario dell’Antologia Palatina, fondato sulla suddivisione per argomenti, ma scelga e suddivida i componimenti in base agli autori. L’inserimento degli ulteriori epigrammi può rivelare una particolare affinità con la poetica di Leonida, assai sensibile al tema della morte, ugualmente centrale per il poeta di Modica. Marcello Gigante sostiene che Quasimodo abbia verosimilmente trasferito su Leonida i propri strumenti stilistici e sintattici, insieme alla sua esperienza umana e poetica; a parere dello studioso, il traduttore di classici aveva precedentemente impiegato intelligenza e sensibilità linguistica nel suo lavoro, senza particolari consonanze e dissonanze interiori.


Al di là dell’impatto dell’epigrammista di Taranto, è indubbio che Quasimodo abbia trovato nel verso alessandrino un importante modello di cura formale, sperimentabile, ad esempio, nella metrica: i testi tradotti sono infatti in endecasillabi, settenari, quinari. Rispetto ai Lirici greci si nota un andamento maggiormente prosastico, che trova riscontro nella sua produzione coeva: sono gli anni della Terra impareggiabile. Nel complesso, la tendenza alla semplificazione attraverso varie strategie morfologico-sintattiche (omissione di aggettivi o participi ritenuti superflui, sostituzione del plurale con il singolare) pare volta a salvaguardare le qualità ritmico-musicali della traduzione, senza che venga alterato il senso della stessa. Al medesimo intento sono riferibili le sostituzioni dei nomi delle divinità con gli elementi da esse presieduti: Eros è tradotto con «amore», Imeneo con «nozze», Ares con «guerra» e così via. Il traduttore si preoccupa di evidenziare la centralità del soggetto poetante, del quale mette in risalto stati d’animo, rappresentazioni e narrazioni, anche ricorrendo ad inserzioni di aggettivi (soprattutto possessivi) e avverbi non presenti nelle versioni originali. In tal modo l’andamento prosastico, colloquiale e discorsivo e gli aspetti metrico-ritmici si incontrano efficacemente, in coerenza con lo spirito dell’epigramma alessandrino.


La nostra riflessione su Quasimodo traduttore dell’Antologia Palatina non può prescindere da un cenno al contributo di Elena Villanova, che consente di approfondire il ruolo della sopra citata Caterina Vassalini. Nella sua pubblicazione (vedi bibliografia) Villanova include la trascrizione delle ottantadue lettere che la docente di liceo veronese spedì a Quasimodo tra il 1955 e il 1957 e di altro materiale d’archivio, tra cui una lettera del poeta. Le ricerche di Villanova provano che la professoressa di Verona non curò solo l’introduzione e le note del Fiore dell’Antologia Palatina, ma collaborò attivamente alle traduzioni, inviando le sue versioni preparatorie, in prosa, dei testi scelti. Queste traduzioni costituivano un’ottima base di partenza per il poeta di Modica, che si occupava della metrica e della terminologia, rendendola meno aulica. Va d’altra parte precisato che Quasimodo controllava con estrema attenzione le versioni ricevute, come prova una missiva in cui Vassalini si rammarica per degli errori che le sono stati rimarcati. Inoltre, a quanto sembra, la studiosa predispose le versioni preparatorie solo di 118 epigrammi sui 230 pubblicati. Quel che è certo è che si mostrò amareggiata per essere stata inaspettatamente confinata alla sola introduzione. In una lettera ebbe a scrivere: «Io pensavo; certo a torto, ma lo pensavo: che l’Antologia sarebbe stata nostra, di tutti e due». L’indisponibilità degli eredi Vassalini rispetto alla consultazione archivistica non ci consente purtroppo di conoscere le risposte di Quasimodo, ma sappiamo che questi considerava il compito del filologo ben distinto da quello del traduttore-poeta; ciò può in parte spiegare come mai, dal suo punto di vista, non abbia voluto affiancare il nome di Vassalini al proprio.


L’indagine di Villanova è di notevole interesse, in quanto permette di rivalutare la figura di una studiosa che avrebbe certamente meritato maggiore considerazione (l’introduzione da lei scritta venne addirittura sostituita nell’edizione Garzanti), senza per questo indurre a dubitare delle qualità di Quasimodo traduttore e poeta.

Alla luce di questa ricostruzione, ha senso chiedersi se sia più valido il poeta o il traduttore? Forse no, dato che tale binomio sembra inscindibile. Anche oltre l’esperienza letteraria quasimodiana, del resto, la poesia e la traduzione sono intimamente affratellate dal labor limae sulla parola, nel colloquio con l’altro da sé, in territori nuovi e antichi di apertura, di incontro tra mondi.



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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


V. Di Stefano, «Dall’Antologia Palatina» di Salvatore Quasimodo: tra labor limae e affinità poetica, in Saperi umanistici nella contemporaneità, Palermo 2018, pp. 288-306.

M. Gigante, Quasimodo traduttore di poeti greci, in «Nuova Antologia» I, 1974, pp. 345-356.

F. Ieva, Salvatore Quasimodo plagiario? (recensione del volume di E. Villanova), in «Tradurre» 18, 2020, www.rivistatradurre.it.

E. Villanova, «Nell’ombra del poeta». Quasimodo traduttore dell’Antologia Palatina, Roma 2018.


24/05/2023

Ponte alla Luna

QUASIMODO TRADUTTORE
DELL’“ANTOLOGIA PALATINA”

di Francesca Innocenzi

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