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Incantamenti

di Giovanna Menegùs

     È sempre stato il mio sogno

     un tiglio al centro del giardino

     alla sua ombra un tavolo

     due poltroncine di vimini

     una da un lato una dall’altro

     per discorrere da me a me

     una volta vecchio una volta giovane

    

     poi d’inverno chiudermi in casa

     e seduto davanti alla finestra

     guardare quei due là fuori

     aspettare la bellezza di un’altra primavera.


Mi ha incantata, continua a incantarmi la grazia di questa poesia [1] – che regge perfettamente o quasi preferisco in lingua, ma ha anche, a fronte, una versione dialettale [2]. La continuità dell’incanto, ovvero la dimensione fuori del tempo creata dai versi, poggia sul ‘sempre’ posto in apertura e ha i tratti dell’impossibile compresenza di età di uno stesso individuo: vecchiaia e giovinezza, con la felice immagine del poeta-sognatore sdoppiato per colloquiare con sé stesso, e, di seguito, contemplato da una terza autopersonificazione, che durante i mesi invernali si ritira al riparo della casa a «guardare quei due là fuori». La coesistenza delle età della vita ha la sua cornice e conferma nel cerchio ininterrotto delle stagioni, da una primavera all’attesa della successiva.

Un sogno perenne dunque, che dura in un sempre irreale e sospeso, idilliaco (etimologicamente: idillio significa ‘piccola immagine’). Mi fa pensare al sonetto di Dante Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io. Tra i più famosi della letteratura italiana, ma il piacere e l’‘incantamento’ che qui sono in causa ne sollecitano la rilettura:


     Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

     fossimo presi per incantamento,

     e messi in un vasel ch’ad ogni vento

     per mare andasse al voler vostro e mio,


     sì che fortuna od altro tempo rio

     non ci potesse dare impedimento,

     anzi, vivendo sempre in un talento,

     di stare insieme crescesse ’l disio.


     E monna Vanna e monna Lagia poi

     con quella ch’è sul numer de le trenta

     con noi ponesse il buono incantatore:


     e quivi ragionar sempre d’amore,

     e ciascuna di lor fosse contenta,

     sì come i’ credo che saremmo noi.


Anche nel sonetto dantesco risuona il ‘sempre’ che mentre abolisce il tempo della realtà fissa l’immagine del sogno: «e quivi ragionar sempre d’amore». Come nelle favole: ‘e vissero sempre felici e contenti’. Come nell’Eden, il giardino fuori del tempo di cui i versi iniziali sono una garbata riproposizione arredata con poltroncine in vimini: un’immagine che si potrebbe trovare in una foto di Robert Doisneau.

Dante, a stemperare di ironia la visione da squisita miniatura cortese che ha appena evocato, inserisce in chiusura una nota di dubbio, affidata a un discreto e sornione «i’ credo».


Il piccolo libro venato di ironia in cui vive il giardino con le poltroncine in vimini si intitola La bléza / La bellezza, del ferrarese Edoardo Penoncini, ed è uscito negli ultimi mesi del 2022 da puntoacapo. In ognuno dei 27 brevi componimenti del volumetto viene presentata una manifestazione, un’interpretazione del tema ‘bléza/bellezza’. Il rito costituito dalla ripetizione della parola stessa – che si ripropone quasi in ciascuno dei testi attraverso la duplice declinazione di lingua (piana e liscia) e dialetto (l’intonazione qui è aspra e insieme dolce e molle, carnale, terragna, quale suona la parlata locale) – agisce in una sorta di mantra o rosario. Siccome i dialetti si stanno estinguendo, insieme ai mondi e alle civiltà che per lungo tempo hanno rappresentato, oltre a quello del giardino il poeta ha anche questo sogno:


     La bellezza sono le parole dette da un vecchio

     che abbracciano tutte le stagioni della sua vita

     un’aria che canta la sua speranza

     a un bambino seduto con lui su una panchina


     la bellezza è un sogno negli occhi di un vecchio

     che rincorrono la Fata Turchina

     perché faccia vivere il dialetto dopo di lui

     per tutti i bambini seduti su una panchina [2].


È un sogno, che, di nuovo, unisce le diverse età, le generazioni anzi, in una sabiana «poesia onesta» [4] dove la bellezza si mostra legata in modo intrinseco a quanto viene umanamente condiviso: che si esprima nelle parole di ogni giorno o nei gesti pacati delle mani: «quanta bléza a pàsa pr’ill nostar dida / na stìlo par scrìvar paròll d’amór / la farina par fàr al paƞ fraréś / al mulśìƞ par sugàr ill nostar làgarm». La bellezza passa per le nostre dita: come una penna che scrive parole d’amore, la farina per fare il pane ferrarese, la tenerezza per asciugare le nostre lacrime. «Al mulśìƞ par sugàr ill nostar làgarm» è il verso che porto con me, da questo libro, il suo cuore segreto, mi sembra.

Ma prima ancora di completarne la lettura, il titolo La bléza e l’idea di una sequenza di poesie neodialettali tutte dedicate a una certa qualità mi avevano fatto pensare a La gentilèssa di Vivian Lamarque, un volumetto di qualche anno fa composto da 20 brevi testi in dialetto milanese, e poi a L’attenzione di Angelo Andreotti, che è scritto in lingua, ma tratta anch’esso di una poco appariscente virtù o attitudine.

Bellezza, gentilezza, attenzione: qualità umane, civiche, e qualità (fra le tante possibili) della poesia stessa di cui in questo tempo avverto – non solo io credo – un particolare bisogno.


A unire Penoncini e Andreotti vi è Ferrara, la città di entrambi. Angelo Andreotti è mancato prematuramente il 2 maggio scorso, e il libro di Edoardo mi è accaduto di leggerlo perché ho partecipato al funerale di Angelo, nella magnifica Certosa – il tempio di San Cristoforo alla Certosa – di cui egli stesso aveva diretto la complessa opera di restauro, antecedente il terremoto del 2012 che per alcuni anni l’ha poi resa parzialmente inagibile. Angelo Andreotti, che era nato nel 1960, nella sua vita tanto attiva quanto discreta e appartata si è occupato infatti di arte, di gestione di beni culturali, di filosofia, di scrittura, di poesia.

L’attenzione è uno dei suoi nove libri di versi (il nono uscirà postumo). Rimanda, fra gli altri, a Simone Weil: «L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione».

Nel pensiero poetante costantemente e coerentemente praticato da Angelo l’attenzione si presenta come apertura, cura e raccoglimento, forma del silenzio e del colloquio con sé stessi e con il mondo, «rivelazione di un dono, dell’altro come dono», «sospensione» rivolta verso «l’appena-visibile, l’appena-udibile» (cito dalla prefazione di Antonio Prete).

Le parole di Simone Weil sono poste in chiusura al volume, di seguito agli ultimi due componimenti che voglio qui proporre in lettura:


     L’OFFERTA


     Con cura e tempo... e il raccolto è frutto

     di un gesto genuflesso, il piegarsi

     in sé di un corpo raccolto in preghiera

     come ai suoi piedi riposasse un dono,

     e dono è, dentro al palmo della mano

     che s’incava a proteggerne la grazia.


     L’ATTENZIONE


     Dall’altro lato dell’ombra, dell’altro

     che passandoti accanto ti resta ignoto

     abbine cura con gesto interiore

     e fanne un volto raccolto in presenza

     anziché il solito vago riverbero

     confuso sullo sfondo di un paesaggio.



*

[1] I tre libri di poesia di cui si parla, intitolati ad altrettante ‘qualità’, sono: La bléza / La bellezza di Edoardo Penoncini, nota di Manuel Cohen, puntoacapo, “AltreLingue”, Pasturana (AL) 2022, 82 pp. (i testi citati sono, nell’ordine, i numeri 27, 10, 15); La gentilèssa di Vivian Lamarque, Stampa 2009, “La collana”, Azzate (VA) 2009 e 2019, 72 pp.; L’attenzione di Angelo Andreotti, prefazione di Antonio Prete, puntoacapo, “AltreScritture”, Pasturana (AL) 2019, 92 pp. (i testi citati sono alle pp. 83-84).

[2] L’è sémpar stà l’mè iƞsunî / uƞ tilî iƞ meź al źardìƞ / a la so òra na tàula / dó pultruƞzìƞn ad stròpa / una da ƞ’cò una da cl’àltar / par zcórar da mi a mi / na volta već na volta źóvan // pó d’iƞveran saràrm in cà / e santà dnaƞzi a la fnéstra / guardàr chi dù là fóra / a sptàr la blèza d’n’altra primavéra.

[3] La bléza j’è ill paròll dìti da ƞ’vèć / ch’j’abràza tut’ill staśón d’la so vita / na canta ch’la cànta la so speraƞza / a ƞ’putìƞ coƞ lu santà s’na baƞchéta // la bléza l’è n’iƞsunî int j’òć d’uƞ vèć / ch’i cór adré a la Fata Turchina / ch’la fàga vìvar dòp ad lu al dialèt / par tuti i putìƞ santà s’na baƞchéta.

[4] Non a caso Penoncini figura tra i vincitori del premio letterario internazionale “Poesia onesta” (edizione 2022, per la raccolta Sotto le palpebre).


**

Immagine di copertina: Felice Casorati, Beethoven, 1928


23/06/2023

Odiare la poesia

QUALITÀ E INCANTAMENTI.
PENONCINI, LAMARQUE, ANDREOTTI

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