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Fuoricampo

PER ROBERTO CALASSO

di Giovanna Menegùs

Siano resi onori e grazie e memoria, in lettura, a Roberto Calasso e a «quel libro di libri che è la casa editrice Adelphi», «un insieme di libri autonomi tra loro ma che possono essere letti ‘come un unico libro’: un’esplorazione che chiede una sorta di libertinaggio mentale che ignori le barriere, un viaggio conoscitivo sregolatamente regolato, e la cui sopravvivenza, in un Paese come questo, sembra a volte semplicemente un regalo».

Roberto Calasso, scrittore, intellettuale, editore il cui nome quasi si identifica con quello di Adelphi, con ‘il catalogo Adelphi’, è morto il 28 luglio, a ottant’anni esatti: 1941-2021, di modo che anche le date della sua vita osservano un ordine e una memorabilità. Ho saputo della sua scomparsa – avvenuta a Milano, era nato a Firenze – con un certo ritardo. Cito, in apertura, dal magnifico Lettori selvaggi (Giuseppe Montesano, Premio Viareggio 2017), enciclopedico e appassionato ‘libro di libri’, libro-mondo, libro-catalogo che anche potrebbe essere ‘un Adelphi’, e invece è pubblicato da Giunti.


Che la poesia, per Calasso e per Adelphi (che è stata anche Luciano Foà e Bobi Bazlen, per fare almeno due nomi, nei limiti di spazio e tempo disponibili), non sia un genere a sé, né una categoria circoscrivibile al verso o alla metrica, sembra evidente dal fatto che nel catalogo Adelphi non vi è una collana specificamente dedicata al genere lirico, e così, ad esempio, la produzione poetica di Cristina Campo (figura leggendaria e se non sbaglio interamente pubblicata dalla casa editrice milanese) si trova raccolta, sotto il titolo La Tigre Assenza, in un volume della collana ‘maggiore’, la Biblioteca Adelphi, che ne accoglie anche l’opera in prosa, e nella medesima collana – accanto a romanzi, racconti, libri di viaggio, saggi di taglio vario, fiabe – figurano le poesie di Marianne Moore e di Pessoa, o le traduzioni del Cantico dei Cantici e del Libro dei Salmi di Ceronetti, per citare solo qualche titolo. Lo stesso vale per la collana di formato minore, la Piccola Biblioteca, che insieme a testi in prosa propone le poesie di Michelstaedter, La verità, vi prego, sull’amore di Auden, Mappa del Nuovo Mondo del Nobel Derek Walcott, un itinerario fra i sonetti del Belli (La Bibbia del Belli) eccetera.


Nel catalogo Adelphi scorrono alcuni filoni fondamentali per la poesia: il mito, il sogno e il simbolo; oltre ai filoni di religione, mistica, antropologia e arte, anch’essi legati alla poesia in quanto perenne, seppur storica, dimensione umana. «Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre». L’esergo di Le nozze di Cadmo e Armonia, il libro di Calasso sui miti greci che lessi a vent’anni, quando uscì (erano gli ultimi mesi del 1988), mi accompagna da allora come una risonanza possente, sapienziale: racchiude il senso e la dimensione, il tempo e la verità del mito, da cui sorge la poesia o che con la poesia coincide. Le parole citate sono tratte da Sugli dèi e il mondo, trattatello, aureo libello del neoplatonico Salustio, che visse nel IV secolo e scriveva ancora: «Anche il mondo infatti può essere detto un mito, poiché in esso corpi e oggetti si manifestano, mentre le anime e le intelligenze si nascondono».

Nel loro insieme, da Salustio all’Oriente, i libri Adelphi costituiscono (anche) un ricchissimo giacimento del mito e quindi della poesia, leggibile e rileggibile in filigrana. Vi si trova ad esempio il repertorio mitografico di Apollodoro, emblematicamente intitolato Biblioteca e corredato da un’appendice di Frazer, autore del Ramo d’oro e tra i fondatori dell’antropologia culturale. Per il sogno, che è una delle vie dell’anima e della poesia, ricordo Artemidoro, Il libro dei sogni (Oneirokritiká), seguito dopo circa 18 secoli da Borges, Libro di sogni.


Se nella commemorazione dei defunti si porta a volte, nella tradizione ebraica soprattutto, un sasso, una pietra da porre sulla tomba, per Calasso io, come lettore comune, posso forse portare appena un granello di sabbia, eppure è un gesto che sento di dover e voler fare, per testimoniare la gratitudine e il debito condiviso nei suoi confronti, e il senso di smarrimento che si prova oggi, poco dopo aver appreso della sua scomparsa.

Vado davanti alla parete di casa adibita a biblioteca ed estraggo, cerco nei diversi ripiani i miei Adelphi, che certo sono molti meno di quanti desidererei (desidererei impossibilmente il catalogo completo, a dire il vero), eppure ad allinearli insieme non sono poi nemmeno così pochi, sono più di quanti immaginassi, cosa che un poco mi stupisce, mentre non mi stupisce trovare conferma che sono tra i libri che più contano per me, e per la poesia anche, credo. Questi libri che tanto contano per me e per la poesia non sono propriamente libri di versi. Sono libri intorno alla poesia, fatti di poesia: fatti da poeti nel momento in cui riflettono, raccontano o si raccontano, e spesso in ciò alternano versi e prosa. Primi fra tutti quelli di Marina Cvetaeva, nella traduzione e cura di Serena Vitale: la raccolta di saggi Il poeta e il tempo, con le violette di Dürer in copertina, e i due volumi dell’epistolario: Il paese dell’anima. Lettere 1909-1925 e Deserti luoghi. Lettere 1925-1941.

Nel primo saggio di Il poeta e il tempo circola il tema della lettura come con-creazione, che è l’idea guida e il lievito di ogni biblioteca e di ogni patto fra editore e lettore, oltre che fra autore e lettore.

Poi, due volumi di Brodskij, anzi tre: i saggi de Il canto del pendolo (uno dei quali dedicato proprio alla Cvetaeva), le interviste raccolte postume in Conversazioni e Fondamenta degli Incurabili, il libretto veneziano che ha «odore di alghe marine sotto zero» ed è prezioso come «il pizzo verticale delle facciate» della città sull’acqua in cui Brodskij, russo esule negli Stati Uniti, ha voluto essere sepolto.

Fuori dall’ambito dei poeti, le grandi anime di Etty Hillesum e Oliver Sacks. L’Anna Maria Ortese di Corpo celeste. Arbasino e Gadda, e Landolfi. La Mitteleuropa asburgica che arde nelle braci di Schnitzler, Joseph Roth e Sándor Márai. Ma anche Le Vie dei Canti di Chatwin, Memorie di una maîtresse americana di Nell Kimball e l’infanzia incantata del naturalista inglese Gerald Durrell, con La mia famiglia e altri animali, nella collana ‘economica’ gli Adelphi (eppure a ben guardare tutti i libri Adelphi sono ‘economici’, facendo una valutazione qualità-prezzo).


Il catalogo Adelphi – nato nel 1962 a partire dall’edizione critica delle opere di Nietzsche, e come costola e scisma da Einaudi – conta migliaia di titoli e spazia attraverso tutte le epoche, le culture e le branche del sapere. Può dare un senso di vertigine: «Siento un poco de vértigo. / No estoy acostumbrado a la eternidad», come diceva Borges di fronte alla ricostruzione-traslazione medievale e museale di The Cloisters. Può indurre, in quanto biblioteca universale, un senso di soggezione e inadeguatezza personale, di dismisura e oppressione. Ma si tratta di una fase passeggera, e all’interno del catalogo stesso ci soccorre un volumetto, Una biblioteca della letteratura universale, in cui Hermann Hesse in un saggio del 1920 ben descrive la fase opposta e complementare: quello stadio di libertà, illuminazione e consapevolezza che il lettore in alcuni momenti attinge. A questo livello, il lettore che «non è già più un lettore» sa «che tutta la poesia e la filosofia del mondo si trova anche in lui stesso, che anche il più grande dei poeti non ha attinto da altra fonte che quella che ciascuno di noi ha in se stesso». «Basta che tu abbia sostato anche una volta sola sul gradino in cui il ciottolo in mezzo alla via ha per te lo stesso valore di Goethe e di Tolstoj, e vedrai che in seguito trarrai da Goethe, da Tolstoj e da tutti gli scrittori infinitamente più valore, più succo e più miele, più accettazione della vita e di te stesso che tu non abbia mai fatto per l’addietro».


In chiusura, perché bisogna pur concludere pur non sapendo come, voglio accennare alla recente e sontuosa collana Animalia. Nata nel 2018, a oggi ha all’attivo sei uscite, volumi corposi che coniugano etologia, neuroscienze e biologia a un’alta qualità di scrittura (e di traduzione). Il primo si intitola Al di là delle parole, il quarto L’evoluzione della bellezza. E voglio ricordare un’altra collana Adelphi che mi è cara perché i due volumetti che ne possiedo li ho ricevuti in regalo da un amico sapiente e bibliofilo. La collana si chiama Biblioteca minima e i libricini sono entrambi di Ceronetti: Per non dimenticare la memoria (2016) e L’occhio del barbagianni (2014), che finisce con questa dedica petrarchesca, adatta, mi pare, a rivolgersi a un personaggio della levatura di Calasso: exiguum ne despice munus amici. Non disdegnare, accogli con benevolenza il piccolo dono di un amico.


02/08/2021

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