Terza voce
L’ALTRO SALVIA. “ESTATE”
DI ELISA SANSOVINO
di Antonio Fiori
Estate, la silloge di Elisa Sansovino oggi introvabile, fu misteriosamente edita nel 1949 in forma privata e poi ripubblicata nel 1985. Dell’autrice nulla è dato sapere, nessuna nota biografica nel libro o in altre fonti ma del suo ‘sospettabile’ inventore, Beppe Salvia, che vi appare solo come curatore, fortunatamente sappiamo, anche se ha voluto salutarci troppo presto, a soli trentuno anni, il 6 aprile 1985.
Seppure pubblicato quasi interamente postumo, Salvia fu molto attivo nel mondo delle riviste letterarie romane sin da giovanissimo e si fece notare per la sua straordinaria capacità di innovazione della poesia italiana, ponendosi l’obiettivo di far combaciare vita e poesia, di far scomparire le parole nelle cose, di far parlare nel testo poetico solo la realtà, fino a raggiungere un’apparente – difficilissima – semplicità.
Ma anche l’autore doveva in qualche modo scomparire: Salvia aveva infatti una forte attrazione verso l’eteronimia, intesa come vera trasmutazione esistenziale, ed è rimasto famoso il suo ‘non apparire’ al Festival di poesia a Villa Borghese nel 1984, mentre l’altoparlante continuava inutilmente a ripetere il suo nome.
Ed ecco che, per assecondare questa sua esigenza, ha dato voce a una poetessa, Elisa Sansovino, immaginandone l’esordio nel 1949 e riproponendo poi la riedizione della raccolta nel fatidico 1985 (Estate uscirà, infatti, come allegato al n. 2 della rivista Prato Pagano).
Il libro, poco più di un quaderno, reca al suo interno una foto della ragazza insieme a tre amiche liceali – Elisa è quella col vestito bianco, la meno carina. Nessun’altra notizia su di lei. La raccolta è quasi un diario in versi che testimonia i primi amori e i primi pensieri profondi di una giovanissima e li rivela con una poesia all’apparenza ingenua, come c’è da attendersi da un’adolescente. Ma, inoltrandosi nei testi, ci si accorge che il lessico è capace di sorprese improvvise e che il bagaglio culturale retrostante non può essere adolescenziale. Qualche esempio di versi felici: «S’apre leggera gonfiandosi la tenda, / pare che tenda un attimo a volare» – «e m’accade di lagrimare miti / singhiozzi, non più l’odore bello / in quelle stanze, mai chiuse al vento, / del vento di mare e non le danze / al vento dei mustacchi di palme / non le calme ore al meriggio, / leggera leggere un libro di Kormendy, / e il pelo tuo di lendini vispo e d’allegrezza».
C’è da chiedersi a questo punto perché il poeta Beppe Salvia abbia sentito il bisogno di un eteronimo femminile per quella che, nella sostanza, sarà la sua prima vera raccolta poetica. Bisogna ricordare che nel 1980, in un editoriale della rivista Braci, affermava senza esitazioni che bisogna provare a «scrivere della vita e della morte» e che certo, seppure con pochi riscontri critici in vita, era autore di un verso limpido e autentico, senza apparente necessità di intermediari:
Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non v’ho messo mano
ancora. Tutta grigia e malandata,
con tutte le finestre rotte, i vetri
infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo
ch’è ancora tutto ingombro di ferraglia,
e perché da qui si può vedere quasi
tutta la città. E la sera al tramonto
sembra una battaglia lontana la città.
Io amo la mia casa perché è bella
e silenziosa e forte. Sembra d’aver
qui nella casa un’altra casa, d’ombra,
e nella vita un’altra vita, eterna.
Eppure c’erano stati altri componimenti poetici di Salvia sotto le spoglie femminili, come le poesie di Silvia Isola, fatta nascere nel 1962 e pubblicata nella rivista L’oca parlante. Sottotraccia, non dimentichiamolo, c’è la sua ammirazione e conoscenza di Pessoa (in particolare, dell’edizione italiana delle sue poesie, Una sola moltitudine, curata da Tabucchi per Adelphi nel 1979).
Si può ipotizzare che Salvia, con l’Estate di Sansovino, da un lato abbia voluto ridare spazio alla sua naturale vocazione al travestimento eteronimo, dall’altro abbia pensato che così, con una sensibilità femminile che sentiva affine, potesse più facilmente affrontare l’adolescenza, l’età breve di Alvaro, così fugace e indecifrabile. Dobbiamo inoltre considerare che se il poeta era proiettato, come prima si diceva, verso il futuro, verso la ‘difficile facilità’ della poesia, era anche costantemente rivolto al passato, alla ricerca dell’origine, del luogo in cui veniamo forgiati, forse intravisto nell’adolescenza.
In questo rifiuto di paternità autoriale Beppe Salvia ha cercato, paradossalmente, la massima autenticità. Un’autenticità che in ultimo sconfina addirittura nella prefigurazione della propria morte: è infatti inevitabile segnalare la drammatica premonizione nascosta nell’ultima poesia di questa Estate di Elisa ‘Salvia’ Sansovino, quando l’autrice si rivolge all’amato con parole estreme come «vorrei darti conforto, / ma mi mancasti prima e spesso io / ti cerco invano», laddove è fin troppo facile leggere l’annuncio della fine imminente, forse già lucidamente programmata, di Beppe Salvia, curatore immaginario di un’opera che resta, invece, interamente sua.
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Immagine di copertina: René Magritte, Il doppio segreto, 1927
18/02/2021