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di Federico Migliorati

È finalmente disponibile Il poeta andava fucilato, la prima antologia italiana dedicata a Rafał Wojaczek, figura leggendaria della poesia polacca del secolo scorso. Il volume, pubblicato dalla nuova casa editrice romana Delufa Press, raccoglie 66 testi, splendidamente tradotti da Francesco De Luca e Bożena Topolska, che rivelano la forza di un linguaggio crudo e provocatorio.


La breve esistenza di Wojaczek (1945-1971), segnata da spigolosità e complessità psicologiche, da una personalità sfaccettata e poliedrica, talvolta violenta e spiazzante, si riflette in versi dove visioni, allucinazioni e realtà concreta si intrecciano senza sosta.

Una vita errabonda, potremmo dire bohemienne, caratterizzata da scontri costanti prima con gli insegnanti, poi con i genitori fino ad arrivare al dramma dell’alcolismo e al suicidio, sempre inseguendo l’arte totale.


La sua voce, intensa e tumultuosa, ci riconduce agli anni Sessanta, quando il giogo sovietico soffocava ogni tentativo di autonomia e libertà nei Paesi satelliti. L’autore vive all’interno di quel mondo, di quell’asfittico e chiuso cerchio, ma riesce a trasformarlo in un universo a sé, attraverso una scrittura fluida, acuta e spesso nervosa, capace di cogliere ogni sfumatura emotiva. È un periodo, peraltro, piuttosto fecondo per la cultura, in una temperie prolifica e corroborante per molti. Il verso del polacco non è apotropaico, non vince l’assedio della sofferenza né può chiaramente abbattere regimi sanguinari («I poeti vanno usati», scrive), tuttavia «la voce è un urlo» e anche se «a nessuno importa» qualcosa permarrà a significare e testimoniare il nostro passaggio.


Wojaczek parla di «vita miserabile» in riferimento alla propria, e si registra sovente un’incomunicabilità di fondo con l’altro, una difficoltà nella gestione dei rapporti: Eros e Thanatos sono elementi dominanti, inscindibilmente legati fra loro così come l’angoscia e il dolore appaiono commisurati, consustanziali all’esistenza stessa: «Senza di essi noi non siamo», semplicemente.

Su tutto prevale sempre lo sconvolgimento della mente, quella follia che prende possesso di ogni cosa e spariglia le carte: dalla divinizzazione di sé («Ero Gesù sono Tuo fratello») all’accostamento cristico alla transustanziazione («Questa è la mia madre commestibile»), fino alla concezione della «morte ermafrodita».


In Wojaczek nulla è definitivo: non vi sono certezze né conferme. Ed ecco affiorare la domanda: «Giacché ululo, sono vivo?» – un interrogativo che, al di là del tempo e delle risposte, pone l’accento su ciò che davvero conta: l’impronta che si desidera lasciare. Perché «vita non scritta» equivale a morte certa.



***


POEMA


                                                             vedo e descrivo...

                                                             Mickiewicz


La sentenza su di me è stata già emessa. Negli schedari degli

uccelli un pilone tarlato d’aria brilla di viola

come un’arteria. O santa madre, o regina col segno

purpureo e la corona di occhi sgranati;

o santa madre, sul trono Tuo solo un’ombra siede.


Non sapevo, o regina, quando i tuoi diamanti

come unghie dorate scavavano nel vuoto

come una breve linea di vita una striscia livida,

meta del nostro tempo; quando gli uccelli grassi

sembravano sazi delle nostre risate viscose.


O principessa, immagina il fulmine, i Tuoi seni

sono la Tua velleità; scopri il ventre e le cosce.

La loro impronta d’argilla il ciarlatano appenderà

sul suo letto oscuro, ha già intagliato la cornice,

l’ha scolpita magnificamente. Svelta immagina il fulmine.


Ho guardato dal buco. Si accoppiava la stupida

Con il suo pensiero sottile. O madre, o santa vergine,

Blasfemo è di vita sospettare un cadavere,

Ma il cadavere ancora amava la vita, o madre, o santa vergine.



STAGIONE


C’è un corrimano

ma non ci sono scale

C’è io

ma non c’è me

È freddo

ma non ci sono calde pelli di animali

pellicce d’orso code di volpi


Da quando è umido

è molto umido

io ama l’umido

sulla piazza, senza ombrello


È scuro

è scuro come il più scuro

me non c’è


Non c’è dormire

Non c’è respirare

vivere non c’è


Solo gli alberi si muovono

la non comune mobilitazione degli alberi


partoriscono un gatto nero

che percorre tutte le strade



ERO, SONO


                                                             A Teresa


I

Ero Gesù sono Tuo fratello

– di nuovo Ebreo.

Hai comprato il mio corpo e la morte

vi ribolle – ci hai vissuto.


II

Sono. So i miei occhi.

Misuro l’ascolto. Ascolto le viscere.

Il mio verso vortica e diventa uccello.

La mia immortalità è breve ma certa.


L’ultimo Cristo è il rovescio del mio cuore.

La mia luna – una stella.

È deformato per la distanza.

È solo un senso inferiore

che orienta i poli.


III

Sono. Amore

lecco dalle Tue labbra.



DEVE ESSERE QUALCUNO


Deve essere qualcuno, che non conosco, ma che si è impossessato

Di me, della mia vita, della mia morte; di questo foglio



19/12/2024

Sulla soglia

“LA VOCE È UN URLO”.
SCOPRENDO WOJACZEK

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