
Recensioni
MARCO MITTICA,
“LE LEGGI DEI PADRI”
(RP LIBRI, 2023)
di Giuseppe Ferrara
La poesia, quando è autentica, ci permette di sfiorare la nostra – autentica – natura che, contrariamente a quanto afferma la massima di Plauto banalmente e strumentalmente ripresa da Hobbes (homo homini lupus: l’uomo è un lupo per l’uomo), non è la natura del lupo.
È questa una massima alla quale, ahinoi, abbiamo dato corso lungo la ‘nostra’ storia (compresa la personale biografia) nella desolante ignoranza della natura – ripetiamo: autentica – degli uomini e dei lupi. I poeti, fortunatamente, nascono per restituire l’autentica natura, senza torri né mura, a entrambe le specie.
In effetti gli individui della specie Homo, sempre più ubriachi d’astrazione, hanno dato corda a questa infame formula, ignorando sia l’inevitabile ignoranza sulla propria preistoria, sia le metamorfiche conoscenze sulle scienze della vita e sull’etologia che, ad esempio, ha dimostrato che la lupa alleva i lupacchiotti con una tenerezza senza pari e che il vecchio capobranco (diciamo il nonno), lascia il territorio (la terra) ai giovani e spesso sconosciuti nipoti. Il branco, cioè, sembra seguire le leggi dei padri e si organizza secondo queste in modo più razionale di Homo, presunto lupo per l’uomo!
Letta come prova di barbarie e crudeltà, questa formula pare ignorare che, a tal proposito, gli individui presunti specialisti della nostra specie sono stati largamente anticipati dai cacciatori, dagli agricoltori e soprattutto dai poeti. Marco Mittica è uno di questi poeti, una sorta di antenato contemporaneo che scrive di Storia della preistoria partendo (paradossalmente) dalla caduta di un impero; una specie di cronista anacronistico che ‘parla biologico’ di ‘semplici’ apocalissi private.
Nel suo Le Leggi dei Padri (RP Libri, 2023 – segnalazione al Premio Lorenzo Montano 2023 nella sezione Raccolta inedita) Marco Mittica usa nel modo più naturale possibile l’espediente utile a mimetizzare esperienze personali sullo sfondo di un campo di guerra rumoroso; a diluire traumi biografici all’interno di gigantesche storie di barbari, chiese, imperatori e conquistatori di terre antiche e lontane; a illuminare percezioni da alma mater con le prime luci di acerbe macchine della conoscenza.
Attraverso cinque sezioni – “I Barbari”, “La Chiesa”, ”Stupor Mundi”, “Alma Mater Studiorum”, “Tre tempi ingiusti” – per un totale di 39 poesie, Mittica, piemontese di nascita ma originario di Montemurro in Basilicata, paese natale di Leonardo Sinisgalli, «in questa sua silloge d’esordio inscena una vera e propria pantomima dell’essere tramite una ricognizione storica e mitica, assecondando così, con un tono versificatorio leggero e ironico, delle sequenze che procedono istrioniche e allo stesso tempo compatte a formare una mappatura non solo esistenziale, ma anche figurativa ed evocativa intorno alla vicenda dell’essere umano», scrive Antonio Bux nell’introduzione. Mentre Biagio Russo, nella postfazione, sintetizza: «L’humus è storico, la lente è poetica, il percorso è personale».

Marco Mittica usa la Storia quale pretesto per parlare di DNA di un genotipo delle rovine – mutazioni di private sequenze – quasi volesse spostare l’attenzione dal cuore al cervello, dallo spirito al corpo, dall’individuo alla specie (quante inversioni!).
Però. Però...
Se gli occhi diventano lucidi; se alla gola sale un groppo; se il respiro s’inceppa su un verso senza alcuna ‘ragione ritmica’, allora siamo davanti alla meraviglia, sfondo di qualunque conoscenza; siamo cioè in presenza dell’arbitro assoluto della percezione umana, l’inversione figura-sfondo, che trasforma Homo in umanità; che trasforma lo storico, lo scienziato, il contadino o l’imbianchino in poeta.
Ed è in questo senso fattuale che l’uomo è un lupo per l’uomo o, preferibilmente, l’uomo è un poeta per l’uomo. Anche perché, come più volte ricordato dal filosofo Michel Serres e a differenza di quanto telegiornali e social vogliono farci credere, le statistiche meglio documentate dimostrano che la maggioranza degli esseri umani pratica la solidarietà empatica (siete mai stati in un paesino della Val d’Agri dove «si risorge tra raffiche di grandine nel mese di giugno»?) più di quanto si dedichi alla concorrenza, al saccheggio, all’odio, alla violenza.
I poeti come Marco Mittica ci aiutano così ad amarsi-amare, a ripristinare cioè una semplice verità: molti sono i buoni, pochi i malvagi. Tutti rischiamo come individui e come specie, una volta o l’altra, una piccola-grande apocalisse/Apocalisse. Per questo il poeta, nostro antenato-contemporaneo della specie Homo, continua a cantare: per ricordarci che, alle catastrofi, la vita sopravvive sempre.
***
Genotipo delle rovine
che cadono dove amarsi-amare
abbatte i confini, la legge,
le case dei padri,
le stanze delle madri.
I porti non portano più
stoffa, ma esperti di anarchia
che sanno cosa fare in questo nulla.
SUB FLORE
I
Non sento più i cani
le scarpe il cancello
le chiavi non
danno latrato
non starnazzano
quelli lontani
non si lamenta
il nuovo arrivato
Manfredi in Lucania
i cani sono muti
II
Non vedo chi stucca
la torre più alta
fiorisco
e il morbo infierisce
nel salto di specie
dall’uomo alla bestia
la mediocrità lo pervade
come un veleno socratico
allele recessivo di una
morte confinata
che ora mordace
lo confina.
LE LEGGI DEI PADRI
Quanto ancora dovremo
aspettare per rimandare
al mittente il perfetto
parallelismo che ci trattiene
In assenza di segnali
fatico a trasmettere
la mia fatica
costretto a parlare
per chiedere silenzio
Ti rammarica lo so
dover rinunciare alle regole
rassicuranti della tradizione
alla mia pagina da finire
al dare ancora una volta
una buona notizia
E se maggio non ti potrà vedere
tu apri le braccia a quest’aprile
di caldo improvviso di origano
e basilico precoce di voce
da alzare nell’anno
in cui nessuno ti potrà scalare.
*
Fotografia © Anush Babajanyan
23/02/2025