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Recensioni

GRAZIA FRISINA,
“STORIE SENZA APPRODO”
(COMPAGNIA DEI SANTI BEVITORI, 2025)

di Flavio Ferraro

È un’anima dilacerata, straziata dalle spine del tempo, quella che Grazia Frisina descrive nel suo recentissimo Storie senza approdo. Non c’è terra che possa accogliere il protagonista di questo libro, esule il cui cammino non giunge, non conduce da nessuna parte; mutevole e impalpabile come le nuvole, si muove in una luce temporalesca, perturbante e sconosciuta.


È un paesaggio dell’anima convulso e allucinato, simile a certi notturni di El Greco, quello tratteggiato dall’autrice, tesa a cogliere – con estrema delicatezza – i minimi sussulti, i trasalimenti di una mente scissa, sempre sull’orlo del precipizio, a fissare gli occhi pieni di «assoluta lontananza» e a scorgere, nascoste sotto un logoro paltò, le «ali di piume inzuppate di sole».

Benché si tratti di un solitario, che ha toccato il fondo dell’abbandono più radicale, un intero popolo si affolla e sciama attorno a questo folle «trafitto dal gelo»: il popolo degli inermi, dei senza nome, trova voce e sguardo in questo stralunato saltimbanco, ultimo tra gli ultimi, «così impudicamente dedito alla / purezza».


È un viaggio iniziatico quello che ci racconta Frisina alternando versi e prosa – a cui fanno da contrappunto i disegni realizzati dall’artista Edoardo Salvi – il pellegrinaggio di un viator sospinto da un movimento centrifugo, che per molti aspetti ricorda la figura archetipica de Le Mat, la carta zero dei Tarocchi, che rappresenta l’energia senza limiti, la libertà assoluta e il caos; ma non c’è Le Monde – simbolo della totalità e della realizzazione suprema – alla fine di questo cammino, non vi è redenzione per il viandante: tutto è qui, perché è dal «midollo delle tenebre» che germoglia lo «stelo del chiarore», è nella «notte di / ciclopi» che si ode «l’uccello del paradiso».

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E anche «nei giorni di tempesta», quando «il mondo diventa pungente e troppo / accalcato», la terra appare in tutto il suo doloroso splendore, nella sua accecante trasparenza, come attraverso una coltre di rugiada; quella terra trasognata, guardata amorosamente a testa in giù, con «le lenti opache / dell’esilio», da chi non ha memoria né futuro, e cammina senza lasciare tracce. Nel magma del divenire, perpetuamente in fuga eppure confitto nel presente, a contemplare la bellezza della «rosa / bagnata al suo risveglio». Trafitta dall’istante, quest’ombra che vive ai margini, «alla periferia delle parole», parla forse anche di noi, ci costringe a vedere ciò che non vogliamo vedere, ciò che temiamo di diventare.


E chissà che questo sognatore, compagno dei «randagi che odorano di polvere e sogni», non ci insegni a serbare in petto la «febbre di un sogno», a procedere lungo «camminamenti di briciole / e passeri», fintanto che la vita, «dissanguata carezza» – questa vita così disperatamente gioiosa – ci è madre.



***


Muti banditori di poesie

musicanti su corde spezzate

ciechi aedi

scultori con le dita incavate nell’urlo della pietra

saltimbanchi dal gesto scombinato

Tutto è in loro – ronzio


cassa di risonanza di cicatrici

di storie senza approdo

sete di cielo

d’innominata melanconia

reame di vite capovolte


Di vite perdenti


Cuori d’incantamento

racchiusi in un’eclisse


Tutto di loro mi trafigge e colma

Come pozzo di luce traboccata



***


L’ho incontrato una volta, in un pomeriggio assolato di strani soggetti. Barboni o clandestini? Demoni o Angeli? Tra questi ne ho avvertito la presenza: per la pelle pericolosamente odorosa di mitezza e per il cuore, senza radici, solitario sull’ultimo binario, a due passi dall’assurdo. L’ho spiato: bello il muso con quella scabra e libera smorfia di esclamazione, con quella trepidazione così irrimediabile negli occhi, pieni non di vuoto ma di assoluta lontananza.



***


Sotto il paltò nasconde ali di piume inzuppate di sole. Il dubbio mi nasce. Sarà lui quel coboldo che, dopo i temporali, libera nella tela del cielo inni di arcobaleni, unendo la rosa bagnata al suo risveglio, tra ciò che è soffocata parola di tormento e ciò che, in tensione, diverrà poema mitologico, mai scritto dagli dèi?



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Fotografia © Herbert Bayer


03/07/2025

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