VLADIMÍR HOLAN
Poesie scelte
Solamente nel buio
Lascia coprirsi d’erba tutt’intorno.
Solamente nel buio sono gli dèi.
Volano via gli uccelli, quando
tosate i frùtici del biancospino.
E solo morti sa la mezzanotte.
Con la nera coda sibilante
il cavallo spegne al cimitero
le candele curiose in cieco fumo.
La sera dell’estate di San Martino
Per il corpo di rupi e fiumi prende
la scialba luna nere vesti dal suo armadio.
Il rosso della sera invano tenta
d’esser lampone su un rovo.
Tempo secco, il giorno già s’abbrevia.
Nei grappoli soltanto è meno buio.
L’autògeno dei grilli sfaccenda
sulle rotaie che portano all’autunno.
Rapide sull’Otava
Quando un macigno si innamora, il fiume
non basta a spegner le cosce della corrente.
Ma anche il piacere mira solo all’immagine
e sibila un grande, nero-folle messaggio.
Messaggio a chi? Da chi? Così sotterraneo e leggero,
che forse non sarebbe peso nemmeno nella caduta,
arroventa in segreto la fulminea polvere dell’inconscio.
Non c’è alcun «qui». E non c’è alcuna gioia.
Il chiarore, parlato, ha la bocca nelle tombe dei suoni,
e di quello che senti una sola verità ti si insinua,
che l’uomo non è più di un errore
commesso nel censimento dei morti.
No, non andartene ancora...
No, non andartene ancora, non temere i sussulti,
è l’orso che si apre gli alveari in giardino.
Si placherà. Strozzerò anch’io il discorso
come la fretta dello sperma serpentino
verso la donna nell’Eden.
No, non andartene ancora, non abbassare il tuo velo.
Il metilene dei còlchici è divampato nel prato.
Sei tu sempre, vita, anche quando sostieni:
Anelando aggiungiamo. Ma l’amore
non ha somiglianza...
Cessato è il canto delle sirene
Questa notte nei sogni mi dicevo:
«Amara è la sete e così sbalordita, che beve dal fato
come un fantoccio di stracci gettato da un bambino in un orinale.
Amara è la voluttà, perché ha tutto
in una così urgente vicinanza, che persino il mistero è fuori mano.
Amara è l’arte e così nera, che potrebbe scolorirla
solo sudore di ascelle di donna, se la morte fosse donna.
Amara è la coscienza che si aggrappa alle cose
come l’ottuso rasoio con cui sbarbano i morti.
Amaro è tutto questo – e tuttavia
sarebbe bene scuotersi e vegliare!».
Ma erano gli angeli quadricèfali del carro funebre
che mi portava via al silenziario,
erano gli angeli che io sentivo
bisbigliare per sempre l’uno all’altro:
«Non destarlo, piano, non destarlo!».
La madre
Hai visto talvolta la tua vecchia madre
nell’istante in cui ti rifà il letto,
rimbocca, distende, appiana e carezza il lenzuolo,
perché non vi sia nemmeno una sola grinza che prema?
Il suo fiato ed il gesto della sua mano e del palmo
sono tanto amorevoli,
che in quanto passati continuano a spegnere un incendio a Persèpoli
e come presenti hanno già placato una futura tempesta
nel mare cinese o in un altro sinora sconosciuto...
L’ultima
L’ultima foglia trema sul platano, perché sa bene
che ciò che non vacilla non è saldo.
Tremo, mio Dio, perché intuisco
che presto morirò e dovrei essere saldo.
Da ogni albero cadrà anche l’ultimissima foglia,
perché esso non è privo di fiducia nella terra.
Da ogni uomo cadrà anche l’ultima finzione,
perché la tavola nell’obitorio è del tutto semplice.
La foglia non deve, Dio mio, supplicarti di nulla,
l’hai fatta crescere e non ha guastato il tuo intento.
Ma io...
Compleanno
Quarantacinque anni... Aspettavo la visita
promessa degli amici, ma non sono venuti... Anche il carro
col vino, trainato da una cavalla di ininterrotta coscienza,
s’è fermato dinanzi a un’altra casa,
e non mi resta che ubriacarmi
con aceto del diavolo... Invano mi conforto
che anche il più puro spirito vive nel bàratro
e che, tentato una volta, sono ora provato...
Vedo dalle finestre colline ferrigne come un uragano nei pressi di Beroun...
Sopra alla guazza nascente dei miei occhi si propaga
il cavernoso latrato dei cani, ogni cane da un altro villaggio,
una civetta sorseggia l’olio d’un lume perenne
ed anche il vento come intermediario
tra respiro e spirito è forse insincero...
Un’unica cosa è sicura:
l’arte di là del mare e la morte di là della porta.
Stoppie
C’è sulle stoppie uno spaventapasseri.
Chi dovrebbe ancora spaventare?
Ne ha poca paura la nebbia,
quella dagli occhi autunnali.
Non vi sono uccelli che devastino,
nulla che germogli dalla terra.
Anche nel mio cuore non c’è nulla,
ma la morte continua a sgomentarmi.
Addio
Di nuovo soffia la burrasca dal cielo nuvoloso della sorte.
La coscienza, che si sente fiacca, stupisce
che ogni cosa corporea sia sossopra.
Chi danza con un ferraiuolo di ali di nòttole?
Chi è ammutolito al fracasso di ciò che ha intravisto?
L’acqua del pozzo adesca il giovane, l’uomo cerca la fonte.
Tutto ciò è già lontano. Vi sono parole
di cui non si deve discorrere.
Non potrai mai adempiere la promessa data.
Il teschio ha sognato i tuoi occhi.
Vladimír Holan (Praga 1905 – ivi 1980). Cultore, in un primo tempo, della poesia astratta, spesso indecifrabile (Il ventaglio delirante, 1926), seppe farsi appassionato testimone degli anni tragici della Boemia (Settembre 1938) e limpido cantore della nuova Cecoslovacchia (Gratitudine all’Unione Sovietica, 1945; A te, 1947). Dal 1948 si chiuse in un isolamento totale, immerso nella visionaria e dolorosa meditazione da cui nascono le altre sue opere: Mozartiana (1963); Senza titolo (1963); In progresso (1964); Una notte con Amleto (1964); Trialogo (1964); Il dolore (1965); La morte e il sogno e la parola (1965); Ma c’è la musica (1968); Un gallo a Esculapio (1970); Ovunque è silenzio (1977).
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Testi selezionati da Una notte con Amleto e altre poesie (trad. di A. M. Ripellino, SE, 2018)