THIERRY METZ
Poesie scelte
***
Non eri venuto per tanta chiarità
tu nomade del respiro
portato dallo strumento alla deriva
sotto il soffitto del perché
andavi da un giorno all’altro
per appianare la sete
rischiarla a monte del libro
all’altezza del fogliame
e solo – con il lampo –
per sopravanzare l’oracolo.
***
Guarda:
l’uomo si è ritirato sotto a un albero
per danzare intorno a una foglia
per dire il più semplice
a chi non verrà
non sarà testimone –
fino al giorno della sua lingua
quando apparirà la casa
quando dunque ritornerà il testimone senza nome
a meditare la nudità di un volto
***
Tu sai che sempre
uno tra noi
si assenta
per abitare la luce
la lingua
poeta o manovale
convitati di una parola
illuminata
***
Chiedi lassù al vegliante
sul ramo
fra le lucciole
nella brace delle parole
nel quasi nulla di scrivere
lui sa, lui che indugia
che l’oggi
dorsale di un altrove
non ha altro orizzonte che la lingua
dove il lampo si denuda
***
Dov’è il fratello alchemico
uomo della prima
dell’ultima cena
dalla voce scarlatta, lieto
nell’avvampare delle mani
sulla tavola inventata
il volto in fiamme
come un’alba
come acqua
che si ritira meravigliata
come una notte
che si consuma
in oscura creta
il volto
come un uccello semplificato
***
Lui chiede: che cosa speri qui
cosa
dove costruire –
nell’imprecisione del fuori
con: pezzi di legno
foglie...
– lavoro dove si raccoglie il possibile
nel focolare vicino alla fiamma
ma viaggio nel profondo
di ciò che è disatteso
***
Se tu sei Nessuno come riconoscerti
e chi resta se non ci sei
immagino un uccello celato
nel tuo riposo
canta lo so
per coprire fuori
lo stridere della tua voce petrosa
gli accampamenti fugge
sempre
come ridendo per l’alto mare aperto
lui l’esploratore che raduna tutto
incamminandosi nel pensiero di Ulisse
l’anonimo
mendicando alla tavola sorda
una parola chiara
per gridare d’improvviso qui
nella stanza che dorme
il suo nome
***
Non avendo che l’utile
– una vanga e qualche parola –
per ritrovare l’acqua
la terra
si avventura lontano dalla parola
nella frattura del libro
***
Parlare è inutile
scava piccola voce
ti guarda il pettirosso
il merlo
nascosto sotto una foglia
dietro ciò che è detto
***
Guarda: come gira attorno a noi
alto sul suo asse
spiando illuminando lo sparviero del nome
tra le mille piccole luci musicanti
nell’ultimo accordo mi attende il suo volto
– dissonanza –
limpido
perché il dio che smuove le mie ali
compie un nero silenzio
nei silenzi del libro
Thierry Metz nasce a Parigi il 10 giugno 1956. Nel 1977, sposatosi con Françoise Fenautrigues, sua compagna di scuola che abbandona per lui l’impiego e la vita a Parigi, va a abitare nei pressi di Agen, sulle rive della Garonna, in campagna. Sono anni di grande felicità, e nascono tre figli, Guillaume, Vincent e Thomas. Thierry Metz ama questa piccola società familiare, fatta anche di amici, e campagnola. A vent’anni è un giovane scherzoso, spensierato, sportivo (è stato campione dell’Ile-de-France di sollevamento pesi), ma presto l’insoddisfazione per la durezza e i limiti del proprio mestiere (fa saltuariamente il muratore), l’alcol (scoperto durante il servizio militare) e gli eccessi di violenza, la depressione, l’angoscia, il disgusto di sé aprono e scavano una terribile ferita. Comincia ad allontanarsi dal mondo, da sé stesso, dagli altri. Nel 1988 il secondo figlio è schiacciato da una macchina: l’infelicità si aggrava. È allora che Il diario di un manovale, pubblicato nel 1990 da Gérard Bourgadier presso Gallimard, fa conoscere questa voce singolare. I libri e i momenti di crisi (segnati da soggiorni in case di cura, a Périgueux, a Agen, e alla fine a Cadillac) si succedono uno dietro l’altro. Nel 1995 appaiono le Lettere alla bene amata (Gallimard). Thierry Metz si trasferisce a Bordeaux, dove si suicida il 16 aprile 1997, e dove le edizioni Opales pubblicano L’uomo che pende e Terra.
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Testi selezionati da Sulla tavola inventata (trad. di R. Corsi, Edizioni degli Animali, 2018)