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SAMUEL BECKETT
Poesie scelte

Alba


prima che giunga il giorno sarai qui

con Dante e il Logos e tutti i cieli e i misteri

e la luna maculata

al di là della candida superficie di musica

che qui enuncerai prima del giorno


     grave soave cantabile seta

     chìnati sull’oscuro firmamento di areche

     effondi sui bambù fiore di fumo filari di salici


chi mai se anche ti chini con dita di pietà

a sottoscrivere la polvere

non vorrà aggiungere alla tua elargizione

il cui splendore sarà un foglio dinanzi a me

un resoconto della stessa emesso da oltre la tempesta di emblemi

così che non ci sarà sole e né disvelamento

né alcuna schiera

soltanto io e quindi il foglio

e massa inerte



Ossa d’Eco


dentro la mia andatura rifugio tutto il giorno

con gazzarre smorzate se la carne decade

senza tema erompendo o favore di vento

vada il guanto di sfida del senso e del non senso

preso dalle sue fisime per quello che mai sono



***


musica dell’indifferenza

cuore tempo aria fuoco sabbia

del silenzio crollo d’amori

copri le loro voci acché

io non mi senta più

tacere



Morte di A. D.


e qui stare qui ancora qui

stretto contro la mia vecchia tavola invaiolata dal nero

dei giorni e delle notti frantumati alla cieca

a stare qui a non fuggire e fuggire e stare qui

chino a confessare il tempo che muore

dell’essere stato ciò che fu fatto ciò che fece

di me del mio amico morto ieri che lucido l’occhio

lunghi i denti ansimava nella barba divorava

la vita dei santi una vita per ogni giorno di vita

riviveva di notte i suoi neri peccati

morto ieri mentre ch’io vivevo

e stare qui a ingoiare più in alto della tempesta

la colpa irremissibile del tempo

aggrappato al vecchio legno testimone delle partenze

testimone dei ritorni



***


cosa farei mai senza questo mondo senza volto né domande

dove essere non dura che un istante in cui ciascun istante

si rovescia nel vuoto nell’oblio d’essere stato

senza quest’onda dove infine

sprofonderanno insieme corpo e ombra

cosa farei mai senza questo silenzio abisso di bisbigli

furiosamente anelante il soccorso l’amore

senza questo cielo che s’innalza

sulla polvere delle sue zavorre


cosa farei mai farei come ieri come oggi

guardando dal mio oblò se non sono solo

a vagare e girare lontano da ogni vita

in uno spazio di marionetta

senza voce fra le voci

conchiuse in me



***


morto nel mezzo

delle sue morte mosche

l’alito d’uno spiffero

dondola il ragno



qualcosa lì


qualcosa lì

ma dove

lì fuori

dove lì fuori

di fuori

fuori che cosa

la testa che cos’altro

qualcosa lì da qualche parte fuori

la testa


al minimo flebile suono

giunto l’intero globo

non ancora spoglio

l’occhio

apre spalancato

spalancato

finché infine

giungendo più nulla

nuovamente lo serra


così talvolta

lì fuori

da qualche parte lì fuori

proprio come se

come se

qualcosa

non la vita

necessariamente



Cascando


I


perché non meramente l’occasione

senza speranze di stillare

parole


meglio non è abortire che essere sterili


plumbee dopo che tu vai via le ore

cominceranno sempre troppo presto

uncinando alla cieca

a dragare il letto del desiderio

recuperando le ossa i vecchi amori

orbite un tempo riempite di occhi come i tuoi

forse che tutto è sempre meglio troppo presto che mai

coi volti bruttati dal nero desiderio

nuovamente dicendo in nove giorni mai riemerse l’amato

né in nove mesi

né in nove vite



II


nuovamente dicendo

se non m’insegni non imparerò

nuovamente dicendo ecco vi è un’ultima

volta persino per le ultime volte

ultime volte per mendicare

ultime volte per amare

per sapere di non sapere fingere

un’ultima anche per le ultime volte

di dire se non m’ami

non sarò amato se non amo te

non amerò


la zangola di parole stantie nuovamente nel cuore

amore amore amore

tonfo del vecchio pistone a pestare

l’inalterabile

siero di parole


nuovamente atterrito

di non amare

di amare e non te

di essere amato e non da te

di sapere di non sapere fingere

fingere


io e tutti quegli altri che ti ameranno

se ti amano



III


sempre che ti amino



Arènes de Lutèce


Da lì dove sediamo più in alto dei gradini

io ci vedo entrare dal lato di Rue des Arènes,

esitare, guardare in aria, poi pesantemente

venire attraverso la scura rena verso di noi,

man mano più brutti, quanto gli altri brutti,

ma muti. Un cagnolino vivace

entra di corsa dal lato di Rue Monge,

lei si ferma, lo segue con lo sguardo

attraversare l’arena, sparire

dietro la piattaforma di Gabriel de Mortillet, scienziato.

Poi si volta, io non ci sono più, salgo da solo

i rustici scalini, con la mano sinistra tocco

la rustica ringhiera, è in calcestruzzo. Lei esita,

fa un passo verso l’uscita di Rue Monge, poi mi segue.

Con un brivido raggiungo proprio me,

ed è con occhi altrui che adesso guardo

la rena, le pozzanghere sotto l’acquerugiola,

una ragazzina che si tira dietro un cerchio,

una coppia, forse d’innamorati, mano nella mano,

i vuoti gradini, le alte case, il cielo

che viene a rischiararci troppo tardi.

Mi volto, e sono stupefatto

di ritrovare lì triste il suo volto.



***


rientrare

a notte

al tetto

illuminare


spegnere vedere

la notte vedere

incollato al vetro

il viso

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Samuel Beckett nacque a Foxrock, sobborgo di Dublino, il 13 aprile 1906. Nel 1927 si laureò nel Trinity College di Dublino e l’anno seguente si trasferì a Parigi come insegnante d’inglese all’École normale supérieure, dove rimase fino al ritorno in Irlanda nel 1931. In quei tre anni prese contatto con l’avanguardia letteraria francese e strinse amicizia con Joyce. Nominato nel 1931 docente di francese all’Università di Dublino, pubblicò il suo saggio su Proust, ma si dimise l’anno seguente e per quattro anni condusse vita errabonda a Londra, pubblicando una sorta di avventura picaresca, More pricks than kicks, e infine una raccolta di difficili e amare poesie col titolo di Echo’s bones (1935). Nel 1937 si stabilì a Parigi. Salvo poche altre sporadiche pubblicazioni di poesie, parte in inglese e parte in francese, il romanzo Murphy (1938) inaugurò la serie delle opere narrative e drammatiche di maggiore impegno, scritte spesso in francese per sfuggire a possibili tentazioni stilistiche nell’uso della lingua madre. Nel 1952 pubblicò l’opera drammatica che lo impose all’attenzione internazionale: En attendant Godot. Premio Nobel per la Letteratura nel 1969, morì a Parigi il 22 dicembre 1989.



*

Testi selezionati da Le poesie (trad. di G. Frasca, Einaudi, 1999)

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