SALVATORE TOMA
Poesie scelte
***
Spesso penso alla morte
al modo in cui dirò addio alla vita
a come avrò la bocca in quell’istante
le mani il corpo.
Vorrei morire mi dico
senza saperlo
a tradimento
in un momento
in cui non me l’aspetto.
Ma ecco che l’alba
riaffiora assurda
e la vita ridiventa
l’incontenibile gioco.
***
Vento leggero che parli
con voce di foglie
che apri i germogli
e li fai trepidare
nella primavera.
Vento che asciughi
i panni, bianchi
come visi di bambini,
e a volte con dolcezza
il sudore della fronte,
fa’ che la mia morte
sia liscia, serena
come il tuo respiro.
***
Vorrei essere immortale
per un certo numero di anni
sapere di non incappare
in strani eventi
soprese disgustose
lutti condanne rimorsi.
Saprei allora essere diverso
forte incorreggibile
sfidare tutto con destrezza
sapere già la sera
se al mattino sarò vivo.
Non sarei più un poeta
un folle un perdente
a me stesso ossessivo.
La mia è una donna favolosa
Vorrei ficcarmi le dita
allo stomaco
spaccarmi le costole
spezzarle con grandissimo dolore
aprirle
so che non verrebbero fuori
viscere fegato cuore
verrebbero fuori
neve alberi fuoco
vento pioggia
perché io sono fatto così
vegetale e libero.
Io non sono cervello
ossessioni inibizioni
società paure
io sono vita
vita libera libertà foreste
gioia di esistere.
La mia
è una donna favolosa.
In nessuna parte
del mondo avrei potuto
trovare un simile mostro
di pazienza e di amore.
La mia
è una donna favolosa.
Pur di non perderla
rinuncerei ai miei versi.
Lo sbagliato sono io
non c’è che dire
non occorre perciò illudersi
tacitarsi con metodi
d’appendice usuali
il caso le fantasie le occasioni...
o ridursi a un sono fatto così
ma è successo
che un angelo è sbandato
e io non so farlo felice.
È disperata
per questo mio modo
naturale
(ma sarà poi vero?)
di vivere la vita
(ma sarà poi vera?)
mi tenta l’idea
di spingere il tormento
di sfiorare la pazzia
gonfiando l’assurdo
a dismisura.
È una gara irresistibile
e tremenda
dove il perdente
è evidente.
Ricordo la sua dolcezza
i primi tempi
faceva vergognare il paradiso
le sue dita sul mio corpo
erano lentissimi ragni
non c’era parte che lei
non avesse esplorato
baciato stretto a sé.
Darei tutto
perché oggi si ripetesse
quel tessersi dolcissimo
di carezze di sguardi
di tremiti
oggi ridotti a un tollerarsi
con violenze con rabbia
con ingiurie.
Che cosa si può fare
per tornare indietro?
ringiovanire dimenticare
invecchiare illusi alla rovescia
riproporsi...
non che io voglia ringiovanire
per rivedermi di nuovo ragazzo
magro e forte
vorrei ringiovanire
per quelle mani
per quel suo frusciare in un corpo
come un rinascere.
Aveva gli occhi
marrò dolcissimi stremati
una volta lucenti come acqua
io avevo altri amori.
Facciamo ancora l’amore
una cosa ormai meccanica
dopo ci si lava
(per la verità si lava lei)
ma i baci
i baci sono rabidi
serrati come un morso.
Un tempo erano piume
sofferti come vento estivo.
Eppure qualcosa
ci deve essere
che si può fare
qualcosa di mai tentato.
Si ritrovano civiltà perdute
statue sui fondali
brocche monili
come posso ritrovare
il mio passato
se non è sottoterra
e non è sepolto in mare?
Il guaio è che è dentro di me
dove non mi posso tuffare.
È il passato
non è la morte
che mi fa paura
è il passato
che è più funebre e più funesto
del buio in una bara
è il passato che mi dilania
questo essere stati
senza possibilità di ripetersi
di dirgli una parola.
È per esso
che noi senza saperlo
ci prepariamo a morire
e forse siamo nati
già morti.
Ma allora il vero in che consiste?
dov’è? io non lo vedo.
Io vedo solo noie
rumori dolori
incredibili cose
disonestà infamie
il tutto passeggero.
***
Il suicidio è in noi
fa parte della nostra pelle
in essa vibra respira si esalta
appartiene alla nostra vita
plana sui nostri pensieri
spesso senza motivo:
a volte l’idea sola
ci conforta ci basta
l’effetto al momento è identico
ci pare di rinascere
una nuova forza stordente
per un poco ci possiede
ci fa sentire immortali.
Perciò io ho rispetto
di chi muore così
di chi così si lascia andare
perché solo chi si nega la vita
sa cosa significa vivere.
L’assuefazione il contagio
il tirare avanti
la sopravvivenza son solo cose
per chi ha paura di frugare
e di guardarsi dentro.
***
Il poeta esce col sole e con la pioggia
come il lombrico d’inverno
e la cicala d’estate
canta e il suo lavoro
che non è poco è tutto qui.
D’inverno come il lombrico
sbuca nudo dalla terra
si torce al riflesso di un miraggio
insegna la favola più antica.
Testamento
Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
è morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza.
Alla deriva
Alla deriva
c’è soprattutto il mare
il mare vero
l’annientante malinconia
delle alghe morte
alla deriva
ci sono sogni della sera
le ultime voci
dei fondali profondi.
Non posso esser vivo
e ricordare i morti
non voglio esser vivo
se devo ricordare i morti
da vivo non si vive
se ci accompagnano i morti
e l’ossessione della loro
esistenza.
Alla deriva
c’è invece il mare
il mare aperto infinito
alla deriva
c’è finalmente la vita
filtrata digerita
c’è la leggerezza
del corpo vuoto.
Ultima lettera di un suicida modello
A questo punto
cercate di non rompermi i coglioni
anche da morto.
È un innato modo di fare
questo mio non accettare
di esistere.
Non state a riesumarmi dunque
con la forza delle vostre certezze
o piuttosto a giustificarvi
che chi s’ammazza è un vigliacco:
a creare progettare ed approvare
la propria morte ci vuole coraggio!
Ci vuole il tempo
che a voi fa paura.
Farsi fuori è un modo di vivere
finalmente a modo proprio
a modo vero.
Perciò non state ad inventarvi
fandonie psicologiche
sul mio conto
o crisi esistenziali
da manie di persecuzione
per motivi di comodo
e di non colpevolezza.
Ci rivedremo
ci rivedremo senz’altro
e ne riparleremo...
Addio bastardi maledetti
vermi immondi
addio noiosi assassini.
***
Quando sarò morto
e dopo un mese appena
come denso muco
color calce e cemento
mi colerà il cervello dagli occhi
se mi si prende per la testa
(l’ho visto fare a un mio cane
disseppellito per amore
o per strapparlo ai vermi)
per favore non dite niente
ma che solo si immagini
la mia vita
come io l’ho goduta
in compagnia dell’odio e del vino.
Per un verme una lumaca
avrei dato la vita:
tante ne ho salvate
quando ero presente
sciorinando senza vergogna
l’etichetta della pazzia
con l’ansia favolosa di donare.
Per favore non dite niente.
Salvatore Toma nasce l’11 maggio 1951 a Maglie, in provincia di Lecce. Inizia a scrivere fin da giovanissimo, pubblicando le sue prime raccolte con case editrici minori. Negli anni Ottanta la sua poesia inizia a circolare presso un pubblico più esteso grazie all’interessamento di Maria Corti che, dopo averne promosso la pubblicazione su «Alfabeta», curerà l’antologia Canzoniere della morte, uscita postuma nel 1999, divenendo rapidamente un caso letterario. Muore a trentacinque anni, il 17 marzo del 1987, probabilmente a causa della cirrosi epatica. Nel 2020 Musicaos ha pubblicato il volume Poesie (1970-1983) in cui si raccolgono le sei opere poetiche edite in vita: Poesie. «Prime rondini» (1970), Ad esempio una vacanza (a Babi) (1972), Poesie scelte (1977), Un anno in sospeso (1979), Ancóra un anno (1981), Forse ci siamo (1983).
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Testi selezionati da Canzoniere della morte (Einaudi, 1999)