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ROCCO SCOTELLARO
Poesie scelte

Al sopportico delle Api il primo amore


Al sopportico delle Api

affisse ai muri le nostre iniziali

col colore della paglia bruciata.

L’amore nostro crebbe qui

nella stalla vicina.

E io vederti sorgere tenera ombra,

misuravo le parole tue calde

cercandoti le labbra con le dita.

Ombre di noi che siamo in fuga 

si allungano, scompaiono 

quando la lucerna del mulattiere

mette fremito alle bestie per la biada.


(1946)



La città mi uccide


Datemi pure a mangiare il pane della questua

nero indurito, ho tanta voglia di lavorare.

Si sono mangiati i miei calcagni

queste strade d’asfalto dure a pestare.

Era nel vento una pioggia di piccoli prezzi

sulle immobili merci delle vetrine.

Sfolgorava sui cartelloni gente

che usciva quella volta dall’incognito

e io che minuzzavo alacremente

la cronaca viola dei miei passi perduti.

Oh stanco appendermi lo sguardo

alle luci al neon infinite.

Sentite furie: alberghi e panifici

e padroni che muovete questa ruota

orrenda che ci stride sulle carni,

ditte, navigatori, capitani sentite:

eccovela la testa del mercenario

accalappiata nel vostro frustone.

Mi avete inutile respinto

ad alloggiare nelle ville

accanto agl’immondi vespasiani

e la notte mi bastonano i ladri

le prostitute mi sputano addosso.

Gerusalemme, Gerusalemme!

I porci hanno invaso gli ulivi

sotto la luna lontana,

la moda si dà convegno

nel tempio sontuoso

Bari, Napoli, Roma, Milano

i fiori, gli uccelli, la donna

qui si comprano

e io cammino con la mano al cuore

perché a forza potrebbero rubarlo.


(Bari, 24 ottobre 1947)



È calda così la malva


È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.


(1948)



La mia bella Patria


Io sono un filo d’erba

un filo d’erba che trema.

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano.


(1949)



La terra mi tiene


Lunga strada seppur deserta

dove puoi menarmi non vedo

punto d’arrivo.


Scordarmi i vivi per ritrovarli

con tutto il peso che mi porto

della vita che m’è nata

i fiori son cresciuti la luce li accende.


Sradicarmi? la terra mi tiene

e la tempesta se viene

mi trova pronto.


Indietro

ch’è tardi

ritorno a quelle strade rotte in trivi oscuri.


(Tivoli, 1942)



Lucania


M’accompagna lo zirlio dei grilli

e il suono del campano al collo

d’un’inquieta capretta.


Il vento mi fascia

di sottilissimi nastri d’argento

e là, nell’ombra delle nubi sperduto

giace in frantumi un paesetto lucano.


(1940)



Era la cavalcata della Bruna


Afflitti ulivi

sui tufi di Matera.

O gli amari poemi

delle morte stagioni!


È una notte che fugge la faina

coi suoi occhi di brace.

E gli antenati ecco sentirsi in canti

per la campagna acquattata:

erano i cafoni in quadrigliè,

passava la cavalcata della Bruna

a risvegliare le caverne

sui bordi delle rocce

al di là della collina,

era il silenzio dell’acqua infossata

che faceva tuonare la Gravina.


(Festa della Madonna della Bruna a Matera, 1947)



Primavera


Stanotte il cielo è un mandorlo fiorito

e nella valle il cuculo già freme.


(1941)



Campagna


Passeggiano i cieli sulla terra

e le nostre curve ombre

una nube lontano ci trascina.

Allora la morte è vicina

il vento tuona giù per le vallate

il pastore sente le annate

precipitare nel tramonto

e il belato rotondo nelle frasche.


(1948)



***


È già notte qui nei valloni

è già notte per le campagne

marine.

Dai paesi corrono piccole

nuvole di fumo verso il cielo.

Continua la vita nel gelo.

L’anima è questo respiro

che ci riempie e ci vuota.

E occorre guardarsi indietro

a vedere il giorno

dove corre.

Corre di fronte

alle luci accese dei pali

dove il Vulture adesso

si vede

sullo specchio rosso

di ponente...

Perché l’ombra è già

morta sui pini.


(1948)



Sempre nuova è l’alba


Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.


Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.


Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra...


Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova.


(1948)

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Rocco Scotellaro (Tricarico 1923 – Portici 1953) fu uno dei maggiori poeti e intellettuali lucani impegnato nel vivo delle problematiche del secondo dopoguerra. Animato da una forte carica morale e ideale, profusa nella sua produzione letteraria e nell’impegno politico, ha assunto il valore emblematico delle lotte per il riscatto del popolo meridionale. Di umile origine, socialista, fu sindaco di Tricarico dal 1946 al 1950, quando fu arrestato sotto l’infondata accusa di irregolarità amministrative; in seguito, grazie all'intervento di C. Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici diretto da M. Rossi Doria. Trasse dalla sensibilità ai problemi sociali della sua terra motivi per alcune opere comparse postume: l’inchiesta Contadini del Sud (1954), il romanzo autobiografico incompiuto L’uva puttanella (1955) e una serie di poesie (È fatto giorno, 1954) nelle quali, muovendo dai modi elegiaci dell’ermetismo, tende a un tono epico-popolaresco, con esiti pieni di dissonanze, ma d’indubbia genuinità lirica. In seguito sono stati pubblicati il volume di racconti Uno si distrae al bivio (1974) e la raccolta di versi Margherite e rosolacci (1978). Nel 2019 la sua intera produzione letteraria è stata raccolta nel volume Tutte le opere.



*

Testi selezionati da Tutte le poesie (1940-1953) (Mondadori, 2004)

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