ROBERT LOWELL
Poesie scelte
Harriet, nata il 4 gennaio 1957
Mezz’anno, poi un anno e mezzo, poi
dieci e mezzo – il pathos dei mezz’anni della bambina
che ricompare ogni estate. Il suo Dio una lumaca di mare, Dio una regina
con quaranta servitori, Dio – non continuasti... le cose turbinano
nel morso della sega a catena di qualunque cosa inquadri
l’universo per nome e numero. Per la centesima volta
affettiamo la nebbia e giriamo intorno
al villaggio con i fanali abbassati,
come il primo filosofo Talete che credeva tutto fosse acqua,
e cadde in un pozzo... cercando di trovare la chiave
dell’auto... Non può esser qui, e quindi deve essere là
dietro la prossima curva della strada o banco
di nebbia – accecato dai nostri deboli raggi, un faccione,
bianco quadrante d’orologio, ancora amico della terra.
Fine trimestre
Il trimestre è finito e l’aria è più leggera,
riconosco i tuoi volti nella stanza
tocco le tue foto, ti trovo qui intorno.
Guardiamo una striscia nera di silenzio ondulando, furtiva, avvicinarsi,
il dorso striato del tuo rampicoso gatto birmano;
si siede puntando la finestra dalla coperta del letto,
avvinghiato alla vita notturna che balena attraverso la tenda –
noi non riusciamo a concentrare lo sguardo per un minuto...
Il micio bellissimo fa le sue orribili fusa per mostrare
che ci vuole nella casa, non lassù con Dio.
Voglio vivere ancora abbastanza per vederti
vivere più a lungo anche del gatto più astuto –
ma sapere che tu sei felice vorrebbe dire vivere
la tua vita per te, tener duro, e sopravvivere a te...
Il nostro ventesimo anniversario di matrimonio
Una spalliera di foglie, giada sulla finestra alta della nostra stalla,
cielo disteso su un telaio a due vetri... non s’apre:
punta di stillicidio dal tetto, questa foglia, quella foglia vibra,
un attacco che la foglia crudele respinge.
Il quadro è troppo perfetto per le nostre vite:
nelle nature morte di Chardin, il colore sanguina, il succo scola.
Abbiamo retto alla pioggia di vent’anni.
Molti zoppi si son guadagnati il loro posto nella corsa;
Emmanuele Kant restò scapolo e in cervello,
nessuno poté romantizzare la sua passeggiata a scuola.
Spesso il giocatore oltrepassa la distanza che richiede il gioco...
La settimana è la prima nostra che passa senza cruccio quest’estate;
odoriamo di verde come le erbacce che stringono il fiore –
una casa divora il legno che l’ha fatta.
Foche
Non più noi se dobbiamo vivere di nuovo; potremmo
diventare foche, ci tratteremmo meglio:
capaci di gingillarsi, capaci di lanciarsi come siluri,
a perfetto nostro agio nei nostri tre elementi,
scoglio, acqua e cielo – se l’uomo potesse trattenere la sua mano...
Traversiamo il porto pagaiando, macchie e chiazze e membrane di petrolio,
tanto più azzurre dell’acqua, le crediamo cielo.
La creatura potrebbe affrontare il creatore in questa veste,
pescatori di pesci non di uomini. Un qualche agosto,
la foca tranquilla potrebbe dire, «Non m’è riuscito dormire
la scorsa notte; di colpo sapevo scrivere il mio nome...»
Allora tutte le foche, come noi preternaturali,
si orienterebbero, farebbero rotta per il Nord – il loro porto
ghiaccio verde in una terra verde mai erba.
Rete da pesca
La chiarità di ogni cosa che improvvisa ci abbaglia,
i tuoi vaganti silenzi e brillanti scoperte,
delfino scatenato ad afferrare nel loro guizzo i pesci...
dicendo troppo poco, e poi un poco troppo.
I poeti muoiono adolescenti, il ritmo li mummifica,
le voci archetipe cantano fuori chiave;
il vecchio attore non sa più legger gli amici
e tuttavia legge sé stesso ad alta voce,
il genio culla a morte l’uditorio.
Deve pure avere fine il verso.
Però il mio cuore è fiero, so di aver allietato la mia vita
intrecciando, disfacendo una rete di corda catramata;
la rete rimarrà al muro quando i pesci saranno già mangiati,
affissa come bronzo illeggibile sul futuro senza futuro.
Sintomi
Ho paura della mia coscienza perché mi fa mentire.
Sembra che un cane lecchi acqua dai tubi,
acqua vivificante orla la mia vasca –
(il sacco delle acque o il lago della tomba...?)
dalle piante dei piedi fino al collo fradicio –
non ho madre che mi prenda in braccio.
Sento il mio vecchio male, mi ritorna una volta l’anno:
un calo del buon umore, poi una funesta
crescita di irritabile entusiasmo...
Tre delfini sostengono il ripiano della nostra toilette,
il loro sguardo ironico smentisce il broncio delle labbra,
sono pazzi di sete. Io sto a mollo,
pensando e ripensando
cos’è mai che ho contro me stesso.
Vista doppia
Mi metto un’altra cravatta sopra la prima;
nessuno aspetta sempre alla porta
e riempie la finestra... a volte un gatto siamese,
o forse mia figlia sulla montatura degli occhiali.
Mi volto e vedo persone, la giacca del pigiama
annodata larga sul collo lungo e sottile d’una sedia –
Prego, accomodati. Il gatto esce –
ma esce davvero? La stanza s’è riempita di ombre doppie,
i sedativi raddoppiano tutto ciò che vedo...
Tu non puoi essere qui, e tuttavia proviamo a parlare;
qualcun altro ti fa il verso sul tuo volto,
litighiamo e non ci capiamo per un’ora.
Mentre parliamo, io ti chiedo,
«Dov’è Caroline?» E sei tu Caroline.
Prima dell’ospedale
Interrogo come un cane il tuo volto –
i cani vivono di congetture, di paradisi di sottomissione,
ma solo il futuro dà la risposta a tutte le nostre bugie –
ha la visione perfetta. Una generazione fa
Harriet era questo opprimente interrogativo –
non avevamo allora niente su cui arretrare e giudicare il quadro...
Ripesco le mie vecchie parole, cara e cari;
il giocatore cartaio ripete la sua girandola di carte –
la carta fortunata che buttai giù
verrà un’altra volta? Vivere non è un gioco di numeri,
un gioco misero per un padre quando io lo sono...
Mangio, bevo, dormo e vesto quassù,
riavrò i miei libri dopo che insieme abbiamo vissuto –
in questa stanza su cui gravano tutte le altre rocce.
Rosa canina
Un’ibrida immagine per tutta l’estate la scena che appare alla prima colazione:
una cinta incurvata di ferro e di rosa canina a ciuffi incandescenti
al di là dei rotoli del fieno falciato fresco –
Sheridan nella ciambella azzurra schizza acqua:
qualunque cosa tocchi gli si dice di non toccare
e qualunque cosa afferri gli casca addosso.
Le cose sono andate avanti e son cambiate, la figlia
mezzana che si scolorisce i capelli tre tinte più chiari con la birra –
ma se non sei bionda non funziona...
Dormire, trovarti sempre lì col giorno,
gli interminabili giorni a rivedere le nostre revisioni –
la rosa canina di ognuno?... E la nostra estate dorata
tanta quanta uno ne può avere. Quando trabocco di felicità
come faccio a sapere se potrò tenere in vita chiunque di noi?
Malato
Mi sveglio per trovarmi così a lungo solo,
il sole che lotta per rinunciare a salire –
due elefanti tirano il mio capo.
Sarebbe stata redenzione non aver vissuto –
nella malattia l’anima e il corpo potrebbero unirsi
se con la depressione io trovassi capacità di prospettiva –
un malato quasi si guadagna la bellezza,
un castello, due macchine, vecchi e perfetti servitori ereditati,
il bicarbonato sul vassoio della prima colazione –
il pesce per la tavola che s’ammucchia nella pescheria.
Nessuno di noi può o vuol dire la verità,
pagare tasse per il sovrappiù che abbiam preso, mentre
galleggiamo sul fiume solitario verso la senilità
fino al termine aperto. A volte nella malattia
siamo abbastanza deboli da entrare in paradiso.
Robert Lowell (Boston 1917 – New York 1977) fu discendente di una delle più antiche e importanti famiglie bostoniane. Abbandonata Harvard nel 1937, compì gli studi al Kenyon College e presso la Louisiana State University. La salda e opprimente tradizione culturale e famigliare è alla radice di molta sua materia poetica nonché dell’impulso alla ribellione, che lo condusse alla conversione al cattolicesimo (1940) e al carcere scontato per obiezione di coscienza durante la seconda guerra mondiale. Personalità inquieta, soffrì di disturbi nervosi e fu per questo più volte ricoverato. Esordì con Land of unlikeness (1944), seguito da Lord Weary’s castle (1946), volume che gli valse il Premio Pulitzer. La sua poesia, spesso in forma di monologo drammatico, rivisita in dense immagini simboliche l’esperienza personale, quella della famiglia e dei luoghi della giovinezza, acquisendo, a partire dalla pubblicazione di Life studies, una maggiore libertà formale e una forte caratura ironica. Con Imitations (1961), For the union dead (1964) e Near the ocean (1967), la sua ricerca tende a legare i problemi dell’io a quelli della storia, dimostrando una crescita di coscienza politica. Traduttore di teatro, L. sperimentò nuove forme in Notebook 1967-68 (1969), giungendo a perfezionare un sonetto senza rima nelle tre raccolte apparse nel 1973: For Lizzie and Harriet, The dolphin e History. L’ultimo libro di versi, Day by day (1977), seguì di un anno la pubblicazione del suo Selected poems.
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Testi selezionati da Il delfino e altre poesie (trad. di R. Anzilotti, Mondadori, 1989)