ROBERT FROST
Poesie scelte
La postazione
Se stanco d’alberi torno agli umani
so dove andare subito – all’alba
verso un pendio tosato dal bestiame.
Lì tra ginepri penduli, inclinati,
vedo, non visto, in un biancore nitido
là le case degli uomini, e più oltre
sul colle opposto, le tombe degli uomini,
i vivi o i morti, a chi pensi pensi.
E se entro mezzogiorno ne ho fin troppo
basta solo che ruoti sul braccio ed ecco
il declivio assolato mi arde il volto,
sul fiordaliso il fiato è come brezza,
annuso terra, annuso erba ferita,
scruto nel cratere della formica.
La strada non presa
Un bosco giallo, due strade divergevano,
e dispiaciuto di non seguirle entrambe
e rimanere uno, sostai a lungo
a scrutarne una fino al punto dove
s’inoltrava svoltando tra i cespugli;
poi presi l’altra, altrettanto bella,
che forse si prestava meglio all’uso
perché coperta d’erba; anche se
il transito le aveva a dire il vero
consumate in misura quasi uguale,
e quel mattino entrambe se ne stavano
tra foglie che nessun passo ha annerito.
Oh, tenni la prima per un altro giorno!
Ma sapendo che una strada porta a un’altra
dubitavo sarei mai tornato indietro.
Questo racconterò con un sospiro
chissà quando da una distanza immensa:
due strade divergevano in un bosco
e io – io ho preso quella meno battuta
e questo ha fatto tutta la differenza.
Fuoco e ghiaccio
C’è chi dice che il mondo finirà col fuoco
e chi col ghiaccio.
Per ciò che ho assaporato io del desiderio
sto con chi tiene per il fuoco.
Ma dovesse perire per due volte
so di sapere dell’odio a sufficienza
da dire che a distruggere
anche il ghiaccio va bene
e basterebbe.
Sosta vicino a un bosco in una sera di neve
Dovrei saperlo di chi è il bosco.
Però sta di casa in paese;
non vedrà se mi fermo a guardare
il suo bosco riempirsi di neve.
Parrà strano al mio cavallino
fermarsi senza fattorie vicino
tra il bosco e il lago ghiacciato
la sera più buia dell’anno.
E dà una scrollata ai sonagli
per chiedere se c’è uno sbaglio.
C’è un suono ed è il giro del vento
lieve, dei fiocchi ovattati.
Buio e profondo è il bosco, bello da morire,
ma io ho promesse da tenere
e miglia da fare prima di dormire
e miglia da fare prima di dormire.
Prossimo alla terra
Amore al labbro un tocco
dolce fino all’estremo;
e un tempo così sembrava troppo;
vivevo d’aria
che m’investiva da dolci cose,
folate di... era muschio
dai getti di vite nascosti
sul poggio al crepuscolo?
Mi davano alla testa
le frasche di caprifoglio
che quando colte scuotono
rugiada sulle nocche.
Bramavo dolcezze forti, ma quelle
sembravano forti quando ero giovane;
il petalo della rosa
a pungermi era lui.
Ora la gioia è senza sapore
se non è tagliata col dolore
la stanchezza, l’errore;
io bramo la macchia
delle lacrime, il marchio
di quasi troppo amore,
il dolce di un’amara scorza,
di una spezia che ustiona.
Quando rigida dolente e scorticata
ritraggo la mano
dopo averla premuta
sull’erba e la sabbia
non soffro mai abbastanza:
io voglio il peso e la forza
per sentire la terra così rozza
in tutta la mia lunghezza.
Assiduo della notte
Sono stato uno assiduo della notte.
Sono uscito – e rientrato – con la pioggia.
Ho superato le luci della città.
Ho perlustrato il vicolo più triste.
Ho incrociato il guardiano nella ronda
e per non spiegare ho abbassato gli occhi.
Fermo ho fermato il calpestio dei passi
quando un grido spezzato in lontananza
da un’altra strada giunse sulle case
ma non per richiamarmi o dire addio;
e a un’altezza più remota e cosmica
un orologio astrale contro il cielo
né giusto né sbagliato disse il tempo.
Sono stato uno assiduo della notte.
La felicità rende in altezza ciò che le manca in lunghezza
O furioso furioso mondo,
i giorni in cui non fosti travolto
da vortici di nuvole e nebbie
o come in un sudario avvolto
e la palla brillante del sole
non fu in parte o tutta
oscurata alla vista mortale –
furono così pochi giorni
che mi domando da dove
mi venga il senso costante
di così tanta luce e calore.
Se è giusta la mia sfiducia
potrebbe venir tutto
da un giorno col tempo perfetto,
quando aprendosi limpido all’aurora
il giorno dilagò limpidamente
per poi finire limpido alla sera.
In verità io credo che la mia
bella impressione sia
tutta di quel sol giorno
senza ombre se non le nostre
mentre tra i fiori accesi in un tripudio
ci spostavamo dalla casa al bosco
tanto per cambiare solitudine.
Non più di questo
Pensava l’universo fosse suo;
perché altra voce accesa di rimando
non era della sua che eco beffarda
da un orrido infrattato oltre il lago.
Dalla riva franta dai massi un mattino
urlava alla vita: a te non occorre
copia del tuo amore indietro, ma
contr’amore, risposta originale.
E nulla ricavò da quanto urlato
se non l’incarnazione che franò
nei detriti dell’orrido sull’altra sponda
e poi nell’acqua schizzata in lontananza
ma dopo il tempo concesso per nuotare
anziché mostrarsi umana avvicinandosi,
qualcun altro che si aggiungeva a lui,
possente apparve come un grande capro
spingendo avanti l’acqua accartocciata
e grondante approdò come cascata
e a passi unghiosi arrancò in mezzo alle rocce
e forzò il sottobosco: e fu tutto.
A una falena vista in inverno
Calda di tasca ecco la mia mano,
tra legno e legno un trespolo di posa,
creatura argentobruna l’occhio lustro,
le ali non ripiegate pronte al volo.
(Chi saresti, mi chiedo, con quei tratti
se avessi da amicarmi falene come ho fiori?).
Ora dimmi ti prego chi ti ha illuso
a compiere l’impresa dell’eterno
cercando qualche amore nell’inverno?
Stai ferma, ascolta, io son sicuro che
per una così lieve il volo è duro:
troppo spendi di te per sostenerti.
Non troverai l’amore né lui te.
E quel che piango in te è un che di umano,
la vecchia intempestività incurabile,
di tutti i mali unica radice.
Ma hai ragione. Va’. La mia pietà non serve.
Va’ a bagnarti le ali, va’ a spegnerti.
Tu più saggia e più semplice di me
sai che la mano ch’io tendo d’impulso
sull’abisso di quasi ogni cosa
arriva appena a te, non tocca il tuo destino.
Non tocco la tua vira, e non la salvo:
mi tocca un altro po’ salvar la mia.

Robert Frost (1874-1963), nato in California, si trasferì all’età di undici anni nel New England con la madre e la sorella. Nel 1912 partì per l’Inghilterra, dove pubblicò le sue prime due raccolte. Tre anni dopo, da poeta affermato (Ezra Pound fu tra i primi a riconoscerne la grandezza), tornò negli Stati Uniti, si stabilì nella campagna del New Hampshire e si dedicò alla carriera letteraria e all’insegnamento. È il solo poeta a essere stato insignito per quattro volte del Premio Pulitzer.
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Testi selezionati da Fuoco e ghiacccio (trad. di S. Bre, Adelphi, 2022)