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NADIA CAMPANA
Poesie scelte

New York


assomigliava al mio cuore alternativamente separato

e unito come le labbra tra cui si mischia l’immagine

del vuoto, mia letizia, mia rosa d’inverno, destato

anno che verrà –

trafittura e ragione che perfora la testa ma non lascia

mai al buio. Con i capelli scogliera mobile che non si

possono dividere in due masse divergenti correre, attaccare

il pane con il coltello diritto o di scancio ma senza mangiarlo

                               e fendere con il frutto nord e sud

tassì nell’alba arancione piangendo

i palazzi uniche dighe alle nubi – e tutti –

tutti voltavano visi da apache perché era il parco

centrale, per cinque minuti attraversa     la notte

come cento giorni di viaggio –

                                                           o una mano che puntava

una sicurezza e un dubbio insieme appoggiati a un sorriso

tocca la penombra pendio dove sono

                                                                       e non sono, si china

per cogliere semplicemente per cogliere semplicemente

delle cose e quando si rialza non ha nulla in mano.

Dolce bianco e scuro vino buono come i corvi –

                                                                                            il tempo

è il mio agonizzare quando mi allontano e vado

a raggiungere la siepe di tutti i giorni

dove resta impigliata la maglia si strappa e non

è che brandelli. Si è fermato. Mormorava tra sé alcune

parole che non saprò mai completamente.

Non è amaro, è di ossa e di carne, avorio, corno,

acqua, intelligenza, amore, cuscino.



***


Noi, la lunga pianura immaginaria

ci inghiotte come sacramenti della notte


Sei stato una quantità esatta

nella pioggia che afferra i visi


Ma adesso in ogni angolo della stanza

aspetteremo fuori dall’esplosione

un legno che io, qui,

ho costruito (lasciami fare)

prodigi scelti dal caso, pioppeti da percorrere!


Il tenero è nel mezzo e nell’interno

umiltà di una porta


ascoltando treni, a un passo, come

una febbre nel ricordo esattamente


Guarda il campo

è così calmo, smisurato, stamattina.



Doppia giustizia


un cranio bestiale

lo chiudo con un braccio spostando

appena l’asse del corpo –

facendogli credere che era distrazione,

tira verso di sé liberamente

sopra di me lo sferragliare

degli artigli bagnati

devo persino scherzare

rapida con la punta nella schiena

già sospesa ripiego

oscuramente, perché sono tornata?

desideravo dormire. le mie mani

vogliono ordine qui

nel punto della mia sorgente e

la bocca spalancata guerriera

s’interessa a lì sotto, sotto la persona

nemica del pudore sonnambulo.

chiamo a me il tacco

gli occhi la borsa strappo

all’interno le cose esauste

ma in un attimo senza disegno

mira azzeccata secco

doppia giustizia perché

a capo chino i capelli gonfiano

manovre in tutto il corpo

fischia l’esaltazione lecita

per terra fratello

a scampare dalle foto fuggirò

attraverso i muri spinta dalle grida.



***


Guardiamo dalla cima del monte

il filo di calma che è nato

del mio petto tu conti ogni grano

e ogni cuore si prende di colpo

il suo tempo: un amore

è tornato e si è accorto

il suo disco ci copre.

Adesso tu devi guardarmi

per quella collana di sì

nella mia pelle che apre

la piana la strada

e i fondi della notte

i centesimi della sete.



Il buio come bene


Tutte dolcezze sono alle dita

di rosa l’abito tinge

lungo l’azzurro pieno, come ti chiamavo

a cancellarmi, quaggiù, ti prego.

Per te, io ti, io te sono

che mi contiene nel tremante ricorso

del tuo silenzio vienimi incontro

orizzonte e allarga esso.

Come rami contro il cielo entrai in lui

una specie eletta dal suo cuore

come mondi sognati da miriadi di sogni

sradicati al centro quasi affondando

diciamo.



***


Ho fatto un grande sogno ma non ne ricordo

niente babbo amiamo le teste bruciate

dell’amore ma non la misericordia e

i chiodi come coltelli di gelosia

tra poco cadrà la strada su di te

spergiuro sulla mia infanzia scrivo

lettere, se non mi dai da mangiare

i capelli mi diventeranno come crine

e come un fucile. Notte di lupi

sprangare l’angelo del vento

qui è la piega

dove non sarà nuovo morire



***


gli uccelli strappano il deserto

per vedere se stessi

scrivono nel cielo

– noi aspettiamo come mali idioti

che avanzano piano

le grida suonano

caricandosi nel cervello

fa giorno, come il cielo tutto rosso



***


dalla tua lingua soffia il vento

e riempi la stanza:

spirito di frutti, questa è

la fioritura del cervello

il mattino   un blocco di futuro,

che mi hai dato in mano

come un cavo:

natura non esitare

ogni cosa è ancora fresca

la città emana il suo azzurro

infinito che dorme

dalla tua lingua mi soffi

in bocca il vento



***


Nel centro dell’uragano

la calma semplice, so che è meglio

aspettare, in piedi occhi socchiusi

abbacinati dal sole contemplando

il tramonto come gabbiani reali.

Le portate della domenica

sono frutto di pene, orologio

che rintocca nella pineta.

O feste di mussola, che cosa si

raduna con le serve cadute ubriache

sotto il peso di un mantello

che il mio amato incline

intiepidito al sonno – molto aspettami –

arrotoli le tasche tra gli spiragli ancora

mi tenti con i suoi aromatici mestieri,

domani perseverare, domani l’infinito:

ovunque sia rintracciato

ovunque illuminato di spine.



***


odore di

erbe

io vengo a farmi in te

vuoto fedele

a un tratto nel regno

le cose sono brezza

leggere senza pensiero

Nadia Campana è nata a Cesena l’11 ottobre 1954 da genitori operai. Ha frequentato il liceo classico Vincenzo Monti, occupandosi in quegli anni di etnomusicologia. Quindi si è laureata in Lettere presso l’Università di Bologna. Trasferitasi a Milano, ha iniziato a frequentare circoli letterari e a collaborare con riviste e case editrici, insegnando contemporaneamente nella scuola secondaria. Nel 1983 ha tradotto per l’editore Feltrinelli parte dell’opera di Emily Dickinson nel volume Le stanze di alabastro. È autrice di una cinquantina di poesie pubblicate nella raccolta postuma Verso la mente (1990), curata da Milo De Angelis e Giovanni Turci. È morta suicida a Milano nel 1985.



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Testi selezionati da Verso la mente (Raffaelli, 2014)

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