JOYCE MANSOUR
Poesie scelte
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Il chiodo conficcato nella mia guancia celestiale
Le corna che spingono indietro le mie orecchie
Le mie piaghe sanguinanti che non guariscono mai
Il mio sangue che diventa acqua che si scioglie che profuma
I miei bambini che strangolo esaudendo i loro desideri
Tutto ciò fa di me il vostro Signore e il vostro Dio.
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Lascia che ti ami.
Amo il sapore del tuo sangue denso
Lo trattengo a lungo nella mia bocca senza denti.
Il suo ardore mi brucia la gola.
Amo il tuo sudore.
Mi piace accarezzarti le ascelle
Grondanti di gioia.
Lascia che ti ami
Lascia che ti lecchi gli occhi chiusi
Lascia che li buchi con la mia lingua appuntita
E ne riempia le cavità con la mia saliva trionfante.
Lascia che ti accechi.
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Accogli le mie preghiere.
Trangugia i miei pensieri viziati.
Purificami: che i miei occhi si aprano
Che vedano il sorriso interiore degli assassini.
E una buona volta
Giuda crocifiggimi.
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Il buco sulla mia testa
L’ebrezza nella mia bocca
E tu sulla mia schiena
Il gatto sul letto
Che rosicchia un occhio tenero
Un occhio di pellegrino in cerca del suo Dio.
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Aspettami.
Sento a malapena il tempo fuggire
Dalla camera dove le mie lacrime dormono nel letto.
Conosco il tuo corpo spigoloso
Che danza senza sosta al suono delle mie risa.
Conosco il tuo corpo vizioso
A cui piace solo il calore degli agonizzanti
Nelle sue braccia sulla sua bocca fra le sue gambe dai folti peli.
Aspetta che il mio piacere si appresti a morire
Aspetta che il mio corpo si geli s’irrigidisca
Prima di divertirti.
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Tu vuoi il mio ventre per nutrirti
Vuoi i miei capelli per saziarti
Vuoi le mie reni i miei seni la mia testa rasata
Vuoi che io muoia lentamente lentamente
Che morendo io mormori parole infantili.
***
Mi piace giocare con le piccole cose
Le cose non nate rosee sotto i miei occhi di folle
Gratto stuzzico uccido rido
Mentre le cose non si muovono più
E io rimpiango la mia febbre di folle
Ho compassione per i miei degenerati genitori
Vorrei cancellare il sangue dai miei sogni
Abolendo la maternità.
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Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi cantanti.
Voglio che tu mi veda gridare di piacere.
Che le mie membra piegate sotto un peso troppo greve
Ti spingano ad atti empi.
Che i capelli lisci della mia testa offerta
Si impiglino nelle tue unghie incurvate dal furore.
Che tu rimanga in piedi cieco e credente
Guardando dall’alto il mio corpo spiumato.
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Distesa sul mio letto
Vedo il tuo viso riflesso sul muro
Il tuo corpo senza ombra che fa paura al mio
Il tuo movimento frenetico e cadenzato
Le tue smorfie che fanno scappare tutti i mobili della stanza
Tranne il letto ancorato dal mio sudore di menzogna
Ed io che aspetto senza coperta né speranza
L’angoscia.
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Che i miei seni ti provochino
Voglio la tua rabbia.
Voglio vedere i tuoi occhi appesantirsi
Le tue guance impallidire incavandosi.
Voglio i tuoi brividi.
Che tu esploda tra le mie cosce
Che i miei desideri siano esauditi sul suolo fertile
Del tuo corpo senza pudore.
Joyce Mansour (all’anagrafe Joyce Patricia Adès) nacque il 25 luglio 1928 a Bowden, in Inghilterra, da genitori ebrei egiziani. Gli antenati appartenevano da generazioni alla colonia britannica del Cairo, dove si distinse per i successi ottenuti nel salto in alto e soprattutto nella corsa. Nel 1947 rimase vedova e, nel 1949, si risposò con Samir Mansour, membro della colonia francese del Cairo, con il quale in un primo tempo visse in Egitto, per poi trasferirsi definitivamente a Parigi. Fu attratta dalla cultura parigina ed iniziò a scrivere in lingua francese. Nel 1953 la casa editrice Seghers pubblicò la sua prima raccolta di poesie Cris. Nello stesso anno l’incontro con André Breton le permise di entrare in contatto e di collaborare con l’ambiente surrealista. Come poetessa fu molto apprezzata, tanto che la sua notorietà varcò i confini della Francia. Le sue opere si distinsero per la carica erotica. Il poeta e critico d’arte Alain Jouffroy ne attribuì la mancanza di pudore ad una sorta di rivendicazione femminile nei confronti dell’erotismo, considerato una creazione esclusiva maschile. Morì di cancro nel 1986 a Parigi.
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Testi selezionati da Grida (1953)