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GIUSEPPE PICCOLI
Poesie scelte

***


Qui siamo viaggiatori

in sosta: ci prende ora

quel raggio, poi il sapore

del latte, ora un’ombra.

Non sappiamo di luoghi

che vadano oltre il cortile

di questa paziente attesa:

così rinforziamo il petto,

sognando e vociando

come bambini in trastullo.

E se il padrone del campo

appare severo, subito

ci difendiamo con parole

e con passo leggero di fuga.



***


Baci. Ma nell’aria c’è una

malattia dell’Essere: la chiami

noia per ripetermi e quindi

evadere ogni possibilità di offesa.

La chiamo «mondo» e, rinnovandomi,

c’è questa splendida facoltà di intesa.



***


Mi tento, mi squaderno

nel lume di un nuovo alfabeto:

piegare verso dove cade

la pena di sapermi solo palude.

Muto ancora io andavo volendo

solitario il tempo primo

che sorrise amore giovane

ora fatto Saturno sapiente

del vario mondo che di lontano

mi attrae. Io sono un’ala

che d’amore dissente,

in sé smarrita, si ricanta

e tra nuvole si distrae

quando al cielo s’apre la prima vita.



***


Questa fonte che lava la mia veste

ora tu la conosci, la devi consacrare:

e la fede tenuta alla massa della roccia rupestre

tu la devi svuotare nell’abisso:

in quel frastuono dell’acqua che non s’imbriglia

tu saprai di te stessa, mi ricoglierai

quando avvertendo il passo sino al punto,

al primo attimo io colga una fossile conchiglia.

Tu traversando lo spazio che ti allegra

saprai di me, della natura umana.

Ed io che allora uscirò di terra

mi farò la mia tana e la mia vela.



***


Verrà il colore dell’ombra

a darci pace e giustizia d’anima:

lo sento che verrà, e sarà

più che una biga con tanti cavalli.

Né io vile sarò: sarà un segno

trovato nel libro tre volte aperto,

per tre volte chiuso, quando al Signore

tocca d’ungere d’olio il capo:

e la grazia d’un baleno su di noi,

sulle nostre parole temendo dette

sulle impaurite parole che non si fanno.



***


Suscitare una fede, svegliare

la speranza. Volgere

più in là gli occhi ciechi,

maturare da morte un’altra vita;

e andare per il mondo snebbiato

come un pastore in cerca di stelle,

come un bambino indovino

tra la gente. E recare con sé

una piuma, per giocare

con l’etere e l’acqua.

E scendere a una parola,

dirla tremando e tacere.



***


Che vuol dire pazienza?

Essere infiniti.

Così mi adombro

della troppa attesa

e i tuoi occhi di grano

mi risvegliano

a un desiderio superiore

di stringerti.



***


Poiché essi ci hanno indicato

i turbamenti della distruzione,

torniamo ai padri poeti, Eliot

Brecht, che ci hanno predetto

che il futuro è leggibile

soltanto se la mano impugna

una zolla di terra. E di questo,

in verità, non saremo troppo prodighi,

né avari in malafede;

perché il figlio avvisato in verità

in verità risponde.



***


Nulla è come i tuoi occhi severi

che vogliono sempre un sorriso:

ti si rifrange nel viso

la gaiezza di ieri.

Ho còlto il tuo gesto

nel caso di uno specchio:

mi sono fatto vecchio e muto.

Ora tutto è saputo e io m’adombro.

Io t’ascolto, io m’ascolto.

Ha il mattino la sua tenera pietà

per il sogno infantile: a sera

il nero senza luce brucia

l’immagine del volto.

Io m’ascolto, io t’ascolto.

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Giuseppe Piccoli nasce a Verona il 5 aprile del 1949, secondo di quattro fratelli. Diplomatosi all’Istituto magistrale, frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia (ex Magistero) all’Università di Verona; nel frattempo insegna nelle scuole superiori. Inizia giovanissimo a scrivere poesie e recensioni, sia artistiche che letterarie, pubblicate su quotidiani locali e nazionali e su riviste di poesia, oltre che in volumi monografici. Muore suicida nel 1987 nell’Ospedale Psichiatrico di Napoli, dove era stato internato a seguito di un grave fatto di sangue.



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Testi selezionati da Fratello poeta (LietoColle, 2012)

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