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FERDINANDO TARTAGLIA
Poesie scelte

A se stesso


Taci e nasconditi.

Severo a gli altri

ma con te stesso più severo.

Non comandare mai

mai non servire.

Ardentemente aiuta i piccoli

appassionatamente opponiti ai potenti.

Non dire bene il male e male il bene

e se non sai che cos’è il bello il vero

fatti da parte umile e tralascia.

Non curarti del mondo né dei cieli.

Sta’ lontano da tutto e sii vicino.

Non temere l’esilio né martirio

indulgi a vita ma più ama morte.

Fa’ ciò che puoi

ciò che non puoi l’invoca.

Senza aspettare aspetta:

e intanto canta.



Non sono usurpatore


Gioca il tuo giro Dio

getta i tuoi dadi

su la mia gola chiusa di silenzio.

Ma quando parlerò

tu Dio sta attento

cose dirò che non immaginavi

e se non correrai svelto ai ripari

dovrai cambiare oltre ogni cambiare.

La tua carta non dà più la figura.

Non ne possiamo più: il mondo crepa.

Io non sono contento: non m’appaghi.

                       Nero ti legherò

                       vecchie le braccia

                       ti porterò dove non sai entrare.

                       Dolce dirò: dammi il tuo fare Dio.

                       Sono venuto apposta per rifare.

Non lamentarti. Non voglio la procura.

Non sono ellissi di demonio o stroscia.

Io non estorco, non ci metto forza.

Io non baro, non sono mentitore.

Non sono usurpatore: sono amore.

Se non sei Dio, allora io sarò Dio.

Se tu non ci sai fare, io farò tutto.



Prova del braccio


Facciamo la prova del braccio, Dio, la prova del braccio.

Chi è che va di sotto? chi si piega?

E chi si piega è più piccolo? è più grande?

E chi è più grande più vale? o vale meno?

E chi più vale è meglio, o invece è smeglio?

Chi smeriglia più il mondo? chi à più rosa?

Dio dammi il tuo braccio.

Dio dammi il tuo braccio non il laccio.

Non fare il falso Dio dammi il tuo braccio

Dio dammi il tuo braccio, non la coda.

Non fare il gatto: voglio la Tua prova.



Io sono solo


Gli uomini non ànno nessuno in cielo

ma sono con gli uomini su la terra.


Dio non à nessuno su la terra

ma è con Dio in cielo.


Io con l’uomo con il Dio

io il Nuovo

non ò nessuno né in terra né in cielo

io sono solo

così in cielo come in terra.



Enigmi


Ecco la sfinge che stringe stinge.

E polvere a quel caso vaso di vento

ecco il camuso uso chiuso deserto.

Dimmi stigma l’enigma come l’impètro

al tuo estro di spietro.

Dimmi

se è il corpo padre de la mente o mente madre è del corpo.

Dimmi

se è il mondo che crea Dio o Dio il mondo.

Dimmi se inizio è prima de la fine

o se la fine è prima de l’inizio.

Dimmi se avanti nascere son morto

o dopo morte io mi rinasco ancora.

Dimmi

muso d’aurora!

Mìm tummìm. Per tuo silenzio: dimmi.



Inutilità della poesia


La rosa

così inutile è cosa che spaventa.

Anche la poesia: come la rosa.



Dolore


Quando sono dolore, io sono Dio.

Dio non è altro che dolore, Dio.

Quanto più Dio e tanto più dolore

e il dolor di dolore è Dio di Dio.



Suicidio

(per un suicidio tentato tredicenne nel luglio 1930)


O Dio tu non proibirmi di morire.

Cosa farai se resto e se non muoio?

Cosa farai di me lungo la vita?

Mi darai profezia dono carisma

mi farai re sopra il tuo estremo regno?

Lascerai che io cada oltre te Dio

a trovare introvabili tesori?

Mi darai l’impossibile: tu, Dio?

     Se no: tu non proibirmi di morire.

     Questa è la mia scommessa in questa estate.

     Lascia che io muoia prima della festa

     di Madonna del Carmine e suoi gigli.

     No: tu non proibirmi di morire.

     Perché non mi proibisci di soffrire?

     E allora non proibirmi di morire

     su la pietra botanica a l’aurora

     dove pende la corda d’alba pura

     e vergine fa modo la foresta.

Io voglio morire a ogni costo.

La mia scommessa è somma di morire.

Di corsa io voglio oggi morire.

Non fermarmi col ramo né con l’ostia.

Non placarmi a faccende di cortile.

La mia cosa è morire a intera posta.

Dio Dio tu non vietarmi di morire.

Anche tu fosti morto

e sei la gioia

di non essere nulla a fresca pace

e a le absidi dolci di sparire.

Lasciami che io mi muoia

e che mi getti

dentro il mare dei mari senza rive:

tu non salvarmi naufrago se affogo.

Lascia che io sia luglio a la mia estasi

e uccello perda nido al mio emigrare:

non trattenermi il volo di salpare.

Dimentica il mio schema e la mia ipotesi:

io non sussisto o Essere! io non sono:

io non sono né sabba né segovia

io non ero sul bounty né a persepoli

io non salii nel sole a guerreggiare

io non vidi il tuo volto a te trebbiare.

Dimentica il mio nome: io non esisto.

Mai sono esistito:

sono assente.

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Ferdinando Tartaglia nasce a Parma il 1° ottobre del 1916. Dopo aver frequentato il seminario, nel 1935 si trasferisce a Roma. Si laurea in Teologia nel 1941, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1939. Terminati i corsi accademici, insieme a Giuseppe Del Bo e Sante Pignagnoli, suoi compagni di studio, dà vita a una comunità di rinnovamento e di rinascita religiosa, fondata a Parma nel 1939, trasferita a Genova nel 1941 e in seguito nella Villa delle Campora, nei dintorni di Firenze, dove stabilisce la sua dimora. Nel 1946, quando è colpito dalla scomunica della Chiesa, conosce un periodo di intensa attività, che si protrae anche negli anni seguenti: partecipa a cicli di conferenze e dibattiti, organizza incontri, viene a contatto con le persone più disparate per esperienze e per estrazione sociale, collabora a riviste, mentre si dedica alla stesura della complessa opera già da tempo iniziata (data alle stampe per lo più postuma, e in gran parte ancora inedita), nella quale tratta di religione, filosofia, politica, economia, logica, matematica, poesia. Dagli anni Sessanta si ritira definitivamente in una sorta di clausura cui sono ammessi solo rari amici. Muore il 24 giugno 1988.



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Testi selezionati da Esercizi di verbo (Adelphi, 2004)

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