DEREK WALCOTT
Poesie scelte
Il porto
Il pescatore che rema verso casa all’imbrunire
Non considera la quiete in cui si muove,
Così io, poiché il sentimento fa annegare, più non dovrei chiedere
Il crepuscolo sicuro che le tue mani calme davano.
E la notte, spronatrice di antiche falsità,
A cui ammiccano le stelle che sorvegliano le alture,
Non dovrebbe udire alcun segreto che ci sfugge; il tempo
Conosce quel mare scaltro e amaro, e l’amore erige muri.
Eppure gli altri che ora mi osservano avanzare verso il largo,
Su un mare che di ogni parola d’amore è più crudele,
Possono vedere in me la calma che il mio passaggio crea,
Sfidando nuove acque in un antico imbroglio;
E i protetti dal pensare possono imbarcarsi sicuri sulle navi
Sentendo brusii di rematori annegare accanto agli astri.
Un canto di marinai
Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.
Baudelaire
Anguilla, Adina,
Antigua, Cannelles,
Adreuille, tutte le «I»,
Voyelles, delle liquide Antille,
I nomi tremano come spilli
Di fregate all’àncora,
Panfili tranquilli come gigli,
In porti di calmi coralli,
Le snelle, eburnee chiglie
Di golette che intessono stretti,
Gli aghi dei loro alberi
Che infilzano arcipelaghi
Ricami rifratti
In acque febbrili
D’isole di marinai,
Le loro spoglie, chine palme,
Lance di Ulisse,
Vulcani ciclopici,
Scricchiolano le loro storie,
Nella pace dei verdi ancoraggi,
Flight e Phyllis,
Tornate dalle Grenadine,
Nomi iscritti di domenica,
Nel registro doganale;
I loro nomi di battesimo,
Le liquide lettere del mare,
Repos donnez à cils...
E ai loro carichi ardenti
Di carbone e arance;
Quieto, il furore delle funi.
L’erompere del giorno si rompe
Sull’acqua verde cromo,
Bianchi aironi di panfili
In comunione domenicale,
Le storie delle golette
Mormorate nel corallo,
I loro carichi di spugne
Su strette isolette di sabbia,
Barche bianche come bianco sale
Dell’acre St. Maarten,
Scafi incrostati di cirripedi,
Stive insozzate di testuggini,
I cui mozzi hanno visto
Il levarsi azzurro del Leviatano,
Un popolo di naviganti,
Intrepido e cristiano.
Ora un apprendista si lava le guance
Con acqua salata e luce.
Al centro del porto
Un pesce infrange la domenica
Con un balzo d’argento.
Le scaglie gli cadono di dosso
In un tintinnio di campane;
Le strade sono arancio
Per la luce maturata in settimana,
In equilibrio sul bompresso
Un giovane marinaio intona
Il canto dei suoi avi
Su una tremula armonica a bocca;
La musica si avvolge, scemando
Come fumo da azzurre galee,
Per dissolversi sui monti,
La musica si svolge
Con le soffici vocali delle baie,
Il battesimo dei vascelli,
I documenti di viaggio,
Il colore delle uve di mare,
L’acredine dei mandorli di mare,
L’alfabeto delle campane,
La pace di bianche criniere,
I pascoli dei porti,
La litania delle isole,
Il rosario dell’arcipelago,
Anguilla, Antigua,
Vergine di Guadalupe,
E Grenada bianca come pietra
Di luce e colombi,
L’amen delle calme acque,
L’amen delle calme acque,
L’amen delle calme acque.
Corallo
La forma di questo corallo echeggia la mano
Che ha incavato. La sua
Assenza immediata è un peso. Come pomice,
Come il tuo seno nella coppa del mio palmo.
Freddo di mare, il suo capezzolo raspa come sabbia,
I suoi pori, come i tuoi, brillavano di sudore salmastro.
Nell’assenza i corpi rimuovono il loro peso,
E il tuo corpo liscio, come nessun altro,
Crea un’assenza esatta come questa pietra
Posata sopra il tavolo con una fila di ricordi
Che scolorano, sfida la mia mano a reclamare
Ciò che le mani degli amanti non hanno mai saputo:
La natura del corpo dell’altro.
Preparandosi all’esilio
Perché immagino la morte di Mandel’štam
tra le noci di cocco ingiallite,
perché il mio dono si guarda già alle spalle
per sorprendere un’ombra che riempia la porta
ed eclissi questa stessa pagina?
Perché la luna si espande in una lampada ad arco
e l’inchiostro sul pollice si prepara a essere pressato
davanti a un sergente che scrolla le spalle?
Cos’è questo odore nuovo nell’aria
che un tempo era sale, che sapeva di lime all’alba,
e il mio gatto, so che me lo immagino, salta davanti al mio passo,
e gli occhi dei miei figli sembrano già orizzonti,
e tutte le mie poesie, persino questa, vogliono nascondersi?
Il pugno
Il pugno stretto attorno al cuore
allenta un poco la presa, e respiro
chiarore; ma si serra
di nuovo. Quando mai non ho amato
il male d’amore? Ma questo si è spinto
oltre l’amore fino alla mania. Questo ha la stretta
ferrea del folle, questo è
aggrapparsi alla cornice dell’insania, prima
di cadere ululando nell’abisso.
Tieni duro dunque, cuore. Così almeno vivi.
L’amore dopo l’amore
Verrà il momento
in cui, con gioia,
saluterai te stesso mentre arrivi
alla tua porta, nel tuo specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
dicendo: siediti qui. Mangia.
Amerai di nuovo l’estraneo che era te.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, all’estraneo che ti ha amato
per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro, che ti conosce a memoria.
Togli le lettere d’amore dallo scaffale dei libri,
le foto, gli appunti disperati,
sbuccia la tua immagine dallo specchio.
Siediti. Banchetta con la tua vita.
Una mappa dell’Europa
Come l’idea di Leonardo
Dove si aprono paesaggi su una goccia d’acqua
O draghi si acquattano in macchie scure,
Il mio muro che si sfalda, nell’aria chiara,
Mappa l’Europa con le sue venature.
Sul davanzale minato, il bordo di latta
Dorato di una birra luccica
Come la sera su un lago del Canaletto,
O come le rocce di quell’eremo
Dove, nella sua cella di luce, lo smunto Gerolamo
Prega che il Suo regno venga
Alla città remota.
La luce crea la propria quiete. Nel suo anello
Ogni cosa è. Una tazza da caffè crepata,
Un pane spezzato, un vaso sbrecciato diventano
Se stessi, come in Chardin,
O nel chiarore di birra di Vermeer,
Non oggetti della nostra pietà.
In lei nessun lacrimae rerum, nessuna arte.
Solo il dono di vedere
Le cose come sono, dimezzate da un’oscurità
Da cui non possono scostarsi.
Mancanza del mare
Qualcosa di rimosso rimbomba nelle orecchie di questa casa,
Fa pendere le tende immote, stordisce gli specchi
Finché i riflessi perdono sostanza.
Un suono come il digrignare di mulini a vento
Arrestato di scatto:
Un’assenza assordante, un colpo.
Avvolge questa valle, soppesa questo monte,
Estrania il gesto, spinge questa penna
Dentro un denso nulla, ormai,
Carica le credenze di silenzio, piega i panni acidi
Come gli abiti dei morti lasciati dagli amati
Esattamente come i morti li lasciavano,
Increduli, nell’attesa di essere occupati.
Derek Walcott è nato nel 1930 a Castries, capitale di Santa Lucia, nelle Antille Minori. Dal 1981 ha insegnato scrittura creativa alla Brown University di Providence, negli USA. Sia in poesia sia in teatro ha espresso con singolare vigore, attingendo alla tradizione letteraria inglese ma con apporti indigeni e spagnoli, il senso di privazione di una propria storia, peculiare dei caraibici di ascendenza africana: così nell’immagine del naufrago abbandonato, in The castaway and other poems (1965), poi in The gulf and other poems (1969), fino al lungo poema Omeros (1990), dove il rinvio a Omero propizia la visione di un paesaggio storico e geografico che unifica presente e passato. Tra la sua produzione poetica più recente, sono da ricordare: The bounty (1997); Tiepolo’s hound (2000); The prodigal (2004); Selected poems (2007); White egrets (2010); O starry starry night (2014). Premio Nobel per la Letteratura nel 1992, nel 2012 è stato insignito del Premio Montale. È morto a 87 anni, il 17 marzo 2017 a Cap Estate, Santa Lucia.
*
Testi selezionati da Isole. Poesie scelte (1948-2004) (trad. di M. Campagnoli, Adelphi, 2009)