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COSTANTINO KAVAFIS
Poesie scelte

Muri


Senza preavviso, né pietà, senza nessun pudore,

muri massicci ed alti mi hanno costruito intorno.


E sono qui che mi dispero e per il mio dolore

non penso ad altro: e mi rodo il cervello tutto il giorno.


Perché, là fuori avevo molte cose da fare.

Ma che costruissero i muri, non ho avuto sentori.


Non ho sentito i colpi di chi era lì a murare.

A mia insaputa, dal mondo mi hanno chiuso fuori.



Aspettando i barbari


«Che cosa aspettiamo qui riuniti nell’agorà?»


         È che oggi dovrebbero arrivare i barbari.


«Perché in senato c’è tanta inerzia?

Che stanno a fare i senatori? Perché non fanno leggi?»


          Perché oggi arriveranno i barbari.

          Che leggi vuoi che facciano i senatori?

          Una volta arrivati i barbari, saranno loro a farle.


«Perché il nostro imperatore si è alzato così presto,

e siede davanti alla porta maggiore della città

sul trono, in posa solenne, con la corona in testa?»


          Perché oggi arriveranno i barbari.

          E l’imperatore aspetta di ricevere

          il loro capo. Anzi, ha preparato anche

          una pergamena da dargli. Dentro,

          ci ha scritto molti titoli e nomi.


«Perché i nostri due consoli e i pretori sono usciti

oggi con le toghe rosse, tutte ricamate?

Perché hanno indossato bracciali con tante ametiste,

e anelli con smeraldi splendidi e luccicanti?

Perché, proprio oggi, impugnano scettri preziosi

cesellati d’argento e d’oro?»


          Perché oggi arriveranno i barbari:

          e queste cose li abbagliano, gli fan perdere la testa.


«Perché i retori esperti non vengono come sempre

a tenere i loro discorsi e a dire la loro opinione?»


          Perché oggi arrivano i barbari:

          e loro non ne vogliono sapere di discorsi eloquenti e arringhe.


«Perché, d’un tratto, sorge questa inquietudine,

quest’ansia (e guarda i visi: come sono diventati seri!)?

Perché si svuotano in fretta le strade e le piazze

e tutti tornano a casa sovrappensiero?»


          Perché si è fatta notte e i barbari non sono arrivati.

          E c’è gente, venuta dai confini,

          che ha detto che dei barbari non c’è più traccia.


E ora che ne sarà di noi, senza più i barbari?

Questa gente, in fondo, era una soluzione.



Cose nascoste


Da quel che ho fatto e da quel che ho detto

non si provi a capire chi sono stato.

Un ostacolo c’era che alterava

le mie azioni e il modo in cui vivevo.

Un ostacolo c’era ad arrestarmi

quando ero sul punto di parlare.

Dai gesti passati inosservati,

dagli scritti più di altri appartati...

solo da lì mi si potrà comprendere.

Ma poi non vale la pena di spendere

tanta cura e impegno per conoscermi.

Un giorno, in una società perfetta,

un altro che sia fatto come me

di certo apparirà e sarà libero.



Al piacere


Gioia e vanto della vita mia, ricordarmi le ore

in cui ho trovato e stretto a me il piacere come lo volevo.

Gioia e vanto della vita mia sono io stesso,

che ho sdegnato il godimento degli amori routinari.



Per quanto puoi


E se non puoi fare della tua vita quel che vuoi,

in questo almeno sforzati

per quanto puoi: non umiliarla

nella troppa familiarità con il mondo,

nel viavai della gente, nelle chiacchere.


Non mortificarla portandola qua e là,

andando per le strade, e non esporla

alle sciocchezze di ogni giorno

delle relazioni, dei vincoli,

fino a renderla estranea, molesta.



Ci sono andato


Non ho subìto condizionamenti. Alla fine,

me lo sono concesso e ci sono andato.

Sono andato ai piaceri, per metà reali, per metà frutto della mente,

nella notte illuminata.

E ho bevuto i vini forti,

che bevono gli audaci del piacere.



Nel venticinquesimo anno della sua vita


Torna regolarmente nella bettola

dove si son conosciuti il mese scorso.

Chiede: ma nessuno sa dirgli nulla.

Dalle loro parole ha ormai capito

che ha conosciuto un tale un po’ sfuggente;

uno dei tanti giovani, sconosciuti e sospetti,

che passano di là.

Torna però regolarmente nella bettola, di notte,

e siede con lo sguardo alla porta.

Fino a stancarsi guarda quella porta.

Chissà, magari entra. Stasera, forse, viene.


Per tre settimane fa così.

La sua mente si è ammalata di desiderio:

sulla sua bocca sente ancora i baci.

Tutto il suo corpo soffre di questo desiderio,

il peso di quel corpo lo sente su di sé.

Con lui di nuovo, vuole unirsi.


Cerca, è chiaro, di non farsi scoprire.

Ma a volte quasi se ne frega.

Del resto, quello a cui si espone lo sa già,

e ormai lo ha accettato:

non è impossibile che questa vita

finisca in uno scandalo infamante.



Per le scale


Mentre scendevo quella scala indegna

tu entravi dalla porta e per un attimo

ho visto il viso tuo, a me ignoto, e tu mi hai visto.

Quindi mi sono nascosto,

perché non mi vedessi ancora, e tu

sei passato veloce, nascondendo lo sguardo

e ti sei infilato nella casa indegna

dove non avresti trovato piacere, come non l’ho trovato io.


Eppure, l’amore che volevi, io l’avevo da darti;

l’amore che volevo – me l’hanno detto i tuoi occhi,

stanchi, ambigui – tu l’avevi da darmi.

I nostri corpi l’hanno sentito e si sono cercati;

il sangue e la pelle ci hanno capito.


Ma ci siamo nascosti, tutti e due turbati.



Il mare del mattino


Mi fermo qui. Guarderò anch’io un poco di natura.

L’azzurro luminoso del mare del mattino,

il cielo senza nubi e la costa gialla. Tutto

bello, tutto grande, tutto illuminato.

Mi fermo qui. Illudendomi che siano queste le cose che vedo

(e che in effetti ho visto, per un istante, quando mi sono fermato)

e non le mie fantasie,

i miei ricordi, gli idoli del mio piacere.



Itaca


Se decidi di tornare a Itaca,

augurati che sia lunga la tua strada,

piena di avventure, piena di cose da scoprire.

Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi,

e neppure la collera di Posidone:

sulla tua strada non troverai nulla del genere

se alto manterrai il pensiero, se un’emozione

scelta ti toccherà l’anima e il corpo.

I Lestrigoni e i Ciclopi,

il feroce Posidone, non li incontrerai,

se non li porti con te nella tua anima,

se la tua anima non te li pone innanzi.


Augurati che sia lunga la tua strada.

Che siano molte le mattinate estive

in cui, con chissà quanta soddisfazione, e quanta gioia

entrerai in porti mai visti prima.

Fai scalo nei mercati fenici

e acquista merci pregiate,

madreperla e corallo, ambra ed ebano,

e profumi voluttuosi di ogni tipo,

quanti più puoi profumi voluttuosi.

Attracca in molte città d’Egitto,

per imparare tanto dai sapienti.


E nella mente, dovrai sempre avere Itaca.

È lei la meta tua, è là che devi giungere.

Ma non affrettare il viaggio.

Meglio che duri molti anni;

e che tu arrivi all’isola ormai vecchio,

ricco di tutto quel che hai guadagnato in viaggio,

senza aspettarti che le ricchezze te le dia Itaca,


Itaca ti ha dato il viaggio bello.

Senza di lei non ti saresti messo in strada.

E non ha altro da darti.

E se la troverai povera, non è Itaca che ti ha ingannato.

Ora sei diventato sapiente, e hai tanta esperienza

che avrai capito, ormai, cosa significano le tante Itache.

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Costantino Kavafis nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1863 e ivi morì nel 1933. Di cospicua famiglia costantinopolitana poi decaduta, trascorse parte della giovinezza in Inghilterra; tornato nella città natale, vi condusse una vita povera d’eventi, facendo l’impiegato al ministero dei Lavori pubblici. Della sua produzione, influenzata nella prima fase dalla poetica simbolista, salvò soltanto 154 componimenti, fatti conoscere agli amici attraverso piccole raccolte stampate privatamente. Estraneo alla tradizione della lirica greca per la sua espressione prosastica e aliena da retorica, l’ironia che vena gli intenti gnomico-didascalici, le scelte linguistiche, K. percorre, mirando al sublime, i vari gradi di un’esperienza estetica tanto più straordinaria in quanto congiunta alla pratica dell’amore omosessuale. Questa coscienza della propria oltranza è, di fatto, il luogo dello spirito, la dimensione metatemporale entro la quale il poeta attira, ravvivandoli con la folgorazione della memoria, gli eventi storici, per lo più dell’epoca bizantina ed ellenistico-romana, l’aria della città natale, i corpi di splendidi giovinetti. Alla pubblicazione postuma del corpus delle poesie riconosciute (1935), è seguita quella delle prose (1963) e delle poesie rifiutate (1968). Un numero crescente di traduzioni in quasi tutte le lingue del mondo attesta dell’enorme fortuna del poeta, la raccolta integrale della cui produzione è stata pubblicata in Italia nel 2020 sotto il titolo Tutte le poesie.



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Testi selezionati da Poesie (trad. di A. Di Gregorio, Garzanti, 2017)

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