CLAUDIA RUGGERI
Poesie scelte
lamento della Sposa barocca (octapus)
t’avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce che in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
– sentite ruvide come cadono –; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca di capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che una mossa un’impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture
***
– e subito ad enea
s’è messa in viaggio l’anima, subito
se la tengono scafo traverso tolda.
l’anima. Foco
la pigli. da questo foglio Foco, da creusa
che incendia e da ciascuna fiamma
che qui in città s’accenda dove non pare
cosa, questo rogo d’aria
questo fuoco lo pigli. l’attimo della morte
«vorrei una faccia bestia, laterale. un muso
inesplicabile di sogliola a sguardo come dire
intero sufficiente. un’anima da travaso
un’anima che risiede che sotto il gran sabbione
alleva la deessa, Macchia pulcherrima
in questa densa sinistra: giunchi falaschi guazza
neutri e coesi Ordine innanzi
tutto o la necessaria evidenza che si di-
verte nella memoria al margine ambulante
alla soglia acrobata, che si consuma... e tra le pietre
sparite del giardino i silenzi
si nascondono con precisione e pare un caso ormai
la mia parola Bianca, bianca da respirare profondo
in tanta fissazione di contorni o forse vuoi
l’arresto, l’appartenenza inevitabile
alla sillaba all’inevitabile distensione
delle terre trascorse delle altre ancora
da nominare chiamarle una poi l’altra tutte
le terre perfette alla mente afferrata
di nomi che smodano scadono che portano
alla memoria o la stravagano?
«crescono ricini presso ninive.
ecco, vedi come sviene
«...
«tu ti dai pena per quella pianta di ricino che in una notte
è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei aver
pietà di ninive... quella grande città...
il Matto capovolto
Palestina
«Y no echaré de meno ni de mas
no l’importancia si la circumstancia»
Pablo Neruda
questa che ora interroga, t’arrovescia
l’inizio; t’avviva a questo Inverso
cui un dio non corrispose; tu sei
l’oggetto in ritardo, l’infanzia persa
su tutte le piste, l’incrocio rinviato; sei l’amnistia
dell’idioma viaggiato; ma Salve, la primavera
ti rassegna, di vòlta in vòlta carta
sveste percòte per cose fitte fitte
afflitte da memorie; t’installa nella voce
con un esercito a mille aste, e così
fortemente tu chiami e così ti legava
il tuo passo recente; dimmi se di uno Stagno
snidi l’Imperfezione, oppure le maiuscole
rimangono incredibili: sono le ‘nulle’
degli alfabeti in cifre, il segno
che non scatta, un ariele distratto...
oppure sul tuo capo la Torre
capovolge; e con un salto dal basso
ti drizza: ma sei in un balzo (ma appena)
o nella capriola prima che t’agganciò
di passi; o c’è chi ti dà un Regno – una parola
d’Ordine almeno – insomma un esito una ribalta, come
si dice, un tuffo; e forse una Città
dove rivolge l’ennesimo esodo
dove s’apre per dita bendate per gli esuli
grandi, o per la fase nuova del terreno:
(leviamole la femmina, diamo l’idiota a questa lesione.
oppure ‘cosa’ resta; vecchia insensazione)
***
(che cos’è che sale dal deserto come una colonna di fumo
esalando profumo di mirra e di incenso d’ogni polvere
aromatica?
«splendete o sparite parole converse
del disco profondo pulverulente e libere; mostrati
infine tu precedente petroso
nel litoide insoluto del mio cuore gentile;
e voi vuotatevi voi peccatori
ovvero fatti santi andirivieni neri
onde tesso il paragrafo anzi incido
il nido del discorso nascosto, le isoipse salienti
delle rose rinviate, per rimanere immobile
senza notizie, classica, battuta chiaro
chiaro messa nella memoria e perduta di vista
per non fissare lo spazio per non sembrare una Frase
– io vi scongiuro figlie di gerusalemme, per le gazzelle
e le cerve dei campi, non destate non scuotete
dal sonno l’amata finché essa non lo voglia
«...
«mi tengo in limine, mi conservo l’equivoco
degli stili incrociati ché nel pieno rumore
dell’infrenabile selva, altro splendore, sai,
altre memorie, altro si lega si strega si ride;
prima della parola ò autore prima
della parola che ti erra e che ti erra
e che ti sbenda, prima che smazzata che ti mette
nella legge e tutto inizia
a muoversi non esprimendo non misurando delimitando a rito;
quale sicura sicura andatura,
quale percorso per entro inchiostri spinti
contraffarà l’ingorgo and so stay there my art
e questo libro senza controllo e questa ottava
inappagata questa mandragora murata, e nondimeno tu
dormi incastrata, qui, nella terra nulla dove la rosa
è un fungo e non si addice ai prati
lettera al Matto sul senso dei nostri incontri
il logoro (mode d’emploi)
«E tu non prendi ch’io t’adori a sdegno
in un volto che fésti a tua sembianza
più che in tela dipinto o sculto legno»
Ciro di Pers
se ti dico cammina non è perché presuma
di parlarti: alla montagna, alla malìa
di milioni di lame, arrivarono a migliaia
cose nude si sparirono bestie, alla neve
al malozio della trappola, tutto
s’esiliava a quel richiamo disanimale.
ma chi nega che in tanta sepoltura
sia avvenuto al pendio un biancore vero
o lo strano brillio che ti destina se la passi,
e pur e pur non sfondi
alla tagliola che non scatta, e più
non si stravolge l’inerzia della lettera, ne anche
tiene lo sporco della suola; si noda
tutta al Trucco che l’immàcola, s’allenta,
a tratti s’allaccia cose che muoiono,
solo scali, cose già sganciate...
a te a te altro ti tiene, non la parola,
per te s’alleva una tortura dentro la bara
della Figura, una condanna alla molla
maligna, al Carnevale abominevole, alla cantina
cattiva di finisterræ violenta
dove s’aduna, al molo, ogni bestiario
qualunque personaggio, alcun oggetto, per una muta
buia dell’attore, per un aumento in male, per l’alta
fantasia che mi ritorna di tanta cerimonia
incorreggibile, per una benvenuta dismisura, per
me che fui per te senz’anima
e feci un patto al malto
sul seme di un’estate
dove esplose la leva che divina;
che sbotola che lima, per te seppi, se sia l’afrore
o la Macchia del logoro, che cova sul monte
il fondo lo scatto l’inverno del falco
***
«viaggiavo l’animale senza coda, la lira
non causava la fisica sonora; l’opera
del dialogo diveniva geroglifica
«...
«e tu capisci che è dentro
quel traghetto e contro il motile
ed il palustre suono dove rivolsi
al Rotolo il pensiero ed ora
inchiostro pareti di preghiera
nodi asterischi astri
«...
– salivo alla montagna
che ora ne dissegrega dall’infondato
actum di sprofondati In margine
i contestuali bianchi del grafema
«non come aracne ma come specchio
che si discioglie, nella tua neve
che trama e ghiaccia, che ti trama
la macchia la macchia
«...
– creusa che fosti piano, donna
che non fuggiva, che ti sei chiusa nel fuoco
e chiusa coesa furiosa nel fuoco
il Matto IV (ode agli inizi)
Orione
«Se per te d’Ippocrene alla bell’onda
trovai la via, se tu mi fusti scorta,
se de’ pimplei recessi a me la porta
apristi...»
Ciro di Pers
non son non son castelli ma qui ma qui ti specchia,
se la soglia ti vince, e più e più ti sofferma.
non ti salva dall’esodo nelle guerre vagate
trasparirti; qual sia la galleria, benché tutti
i decori cerchino tutti i varchi le vette delle volte
le lotte illustrate e quante,
chissà, Distrazioni e il biancore il biancore che spossa
la ruota in volgare che sfonda in un posto
avvenire avvenire pieno di tronchi pieni
di rami per coprire ahi strappo l’abbraccio
a soggetto la Tempesta Ordinata
l’agone, perché la ruota ormai è roto
lata attossecata questa tua fata rima se già la rinserra
il Nocchiero, se arde la piscia che di giove ruscella
al Toro al Bue al mio Miglior Tradito; o sia smarrita
Orione; o sarà che rinselva a un nuovo affetto meravigliosamente
un amor la distringe: uno splendore che marcia
di Masca in un bosco che esiste persino
acuto A nozze verso i castelli a volo persino
ha dato il suolo al passo
perperderlo perdonartelo ahi cose perché cadete
***
(... i tuoi occhi come colombe su ruscelli d’acqua
– ché matura in 1 attimo
l’immagine del pesce, dell’amaranto
l’incanto, nessuno scoop, una notizia
chiusa nel notiziario scientifico
del terzo canale: tra l’altro
materiale astrale, nuovi silenzi
«mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo
sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gl’inferi la passione
«...
«lascio pareti chiare
per le tue questioni
di preghiera. mi tolgo
dal dettaglio di questi
ultimi versi; gira
e rigira tutto il barbàglio,
tutta la verità sta qua.
Claudia Ruggeri, nata a Napoli il 30 agosto 1967, si trasferisce a Lecce l’anno seguente con la sua famiglia. In questa città compirà i suoi studi e inizierà a dedicarsi alla poesia, mettendosi subito in contatto con l’ambiente letterario e culturale del capoluogo salentino, dal quale si aprirà alla conoscenza e relazione con autori del panorama poetico nazionale, come Franco Fortini e Dario Bellezza. Il 27 ottobre 1996, all’età di ventinove anni, pone tragicamente fine alla sua vita.
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Testi selezionati da Poesie. inferno minore. )e pagine del travaso (Musicaos, 2018)