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ALFONSO GATTO
Poesie scelte

A mio padre


Se mi tornassi questa sera accanto

lungo la via dove scende l’ombra

azzurra già che sembra primavera,

per dirti quanto è buio il mondo e come

ai nostri sogni in libertà s’accenda

di speranze di poveri di cielo,

io troverei un pianto da bambino

e gli occhi aperti di sorriso, neri

neri come le rondini del mare.


Mi basterebbe che tu fossi vivo,

un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.

Ora alla terra è un’ombra la memoria

della tua voce che diceva ai figli:

«Com’è bella la notte e com’è buona

ad amarci così con l’aria in piena

fin dentro al sonno». Tu vedevi il mondo

nel plenilunio sporgere a quel cielo,

gli uomini incamminati verso l’alba.



In un soffio


Risvegliare dal nulla la parola.

È questa la speranza della morte

che vive del suo fumo quando è sola,

del silenzio che ventila le porte.


Il passato non cessa di passare

e l’odore che sparve è l’aria calda

che ferma gli oleandri lungo il mare

in un soffio di mandorla e di cialda.



Cenere


Quello che non sappiamo come un sogno,

come la pioggia, scende in cuore a sera.

Il freddo stringe sulle cose il lume,

lo squallore perenne dei giornali

abbandonati sulle strade, nomi,

fatti perduti appena nati, cenere.


Quello che non sappiamo come un treno

solo nel mondo giunge coi fantasmi

alle case di nebbia: da lontano

un bubbolìo di sonagliere, il carro

delle notti serene.


Quello che non sappiamo come il freddo,

come la neve, scende sulle tombe.

Udimmo il vento porgere alle cose

il pensiero che l’ombra le fa sole.


Quello che non sappiamo è forse il volto,

il nostro volto che la morte un giorno

suggellerà col suo silenzio: nomi,

fatti perduti appena nati, cenere.



Inverno a Roma


I bambini che pensano negli occhi

hanno l’inverno, il lungo inverno. Soli

s’appoggiano ai ginocchi per vedere

dentro lo sguardo illuminarsi il sole.

Di là da sé, nel cielo, le bambine

ai fili luminosi della pioggia

si toccano i capelli, vanno sole

ridendo con le labbra screpolate.

Son passate nei secoli parole

d’amore e di pietà, ma le bambine

stringendo lo scialletto vanno sole

sole nel cielo e nella pioggia. Il tetto

gocciola sugli uccelli della gronda.



Sciarada


È difficile dire, ma si deve dire,

il cuore è detto che non si può dire.

Sempre uno specchio quanto più profondo

colora tutto il giorno che passa

e di sé nulla, un abisso, un macigno.


O romperlo solo

romperlo rotto e di nuovo allagato

romperlo sempre.

Ma forse era un volo

il cuore detto che non si può dire,

la mano aperta che lascia anche il filo

e di sé nulla, più nulla trattiene.


È difficile dire, ma si deve dire,

il cuore è detto che non si può dire,

il cuore duro per rompere il cuore

dentro ha raccolto la sua stessa mano.

Quasi uno scherzo

e per dirlo si gioca.


La morte è uno soffio che pesa l’intero.


Ma la dolce collina del nostro cuore lontano

la luna del nostro amore lontano,

l’inverno del nostro cuore vicino.



Caffè del porto


Il cane ha freddo e silenzio.

Solo come il cuore.

I marinai se ne sono andati,

da una mano all’altra passavano il berretto.

E la sposa stucchevole si gira

dentro lo specchio e mai si sposerà.

La pioggia spoglia gli anni

e la Vergine invecchia

col suo latte giallo.

Il cane ascolta il cuore

e il Sud è malinconico

come un vecchio confetto.



Osteria flegrea


Come assidua di nulla al nulla assorta

la luce della polvere! La porta

al verde oscilla, l’improvvisa vampa

del soffio è breve.


Fissa il gufo

l’invidia della vita,

l’immemore che beve

nella pergola azzurra del suo tufo

ed al sereno della morte invita.



Canto alle rondini


Questa verde serata ancora nuova

e la luna che sfiora calma il giorno

oltre la luce aperto con le rondini

daranno pace e fiume alla campagna

ed agli esuli morti un altro amore.

Ci rimpiange monotono quel grido

brullo che spinge già l’inverno, è solo

l’uomo che porta la città lontano.


E nei treni che spuntano, e nell’ora

fonda che annotta, sperano le donne

ai freddi affissi d’un teatro, cuore

logoro nome che patimmo un giorno.



Le cose


Un giorno busseranno ad ogni casa,

chi vive è già colpevole d’avere

la sua vita segreta. Scende il buio

della notte, si resta dietro ai vetri

ad aspettare come giunge il vasto

assurdo della quiete. È nelle cose

di sempre ferme al loro posto il nuovo

sguardo impietrito: l’angolo deserto

mette in salvo il fuggiasco o per lo scarto

gli affaccia la sua muta. Sembra un vano

delirio questo credere alle cose.



In quell’inverno


Dicevi: basterebbe restasse tra noi

il modo di chiamarci, il modo di tacere.

Dicevi: tornerà quest’ansia di stare insieme

in ascolto di noi come del vento,

passerà il bicchiere di mano in mano...


Ora la vita non ha più contento,

nel dividerci ognuno alla sua vita

che lo porta lontano.


Non è rimasto nulla, la memoria

a volte accende il fuoco, chiama le ombre

a sedere, a tacere in quell’inverno.

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Alfonso Gatto nasce a Salerno nel 1909 e compie i suoi studi universitari a Napoli, ma li lascia presto a causa di difficoltà economiche. Durante la sua vita irrequieta si sposta molto e si dedica a differenti lavori: il commesso in una libreria, l’istitutore di collegio, il correttore di bozze, l’insegnante e il giornalista. Come giornalista collaborerà con numerose riviste letterarie quali «Italia Letteraria», «Rivista Letteratura», «Circoli», «Primato alla Ruota». Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, viene arrestato e trascorre sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano. Nel 1938 fonda a Firenze assieme allo scrittore Vasco Pratolini la rivista «Campo di Marte», ricollegabile all’ermetismo fiorentino. Il periodico resta però in vita solo anno. Nel 1943 entra a far parte della Resistenza. Dopo la guerra diventa direttore di «Settimana» e inviato speciale de «L’Unità», dove assume una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista. Tra le sue opere poetiche ricordiamo: Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Il capo sulla neve (1949), La forza degli occhi (1954 – Premio Bagutta), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966), Rime di viaggio per la terra dipinta (1969). Muore in un incidente stradale nel 1976.



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Testi selezionati da Tutte le poesie (Mondadori, 2017)

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