Title
trad. dallo spagnolo di Antonio Bux
Tra le voci più originali e radicali della poesia spagnola contemporanea, Leopoldo María Panero centra la sua produzione sull’analisi sofferta della propria vita, costellata da frequenti e prolungati ricoveri negli ospedali psichiatrici. A una poetica ricca di rimandi storici, letterari e mitici, fa da contraltare una quotidianità impregnata di morte, sangue e desiderio, sempre in bilico tra ciò che è vero (il bene) e ciò che è reale (il male). Così è l’esistenza stessa di Panero a trasformarsi nella sua opera, che si pone l’eterno interrogativo di chi sia la vittima o il carnefice, il vincitore o il vinto. Se la letteratura, come lui stesso afferma, altro non è che «un’immensa bozza di stampa e noi, gli scrittori ultimi o postumi, solo i correttori di bozze», al poeta serve qualcosa di estremo per sottrarsi al senso del nulla e dell’assurdo: e, considerate in quest’ottica, le fondamenta simboliche non sono più il passivo rifugio per l’ispirazione, ma la materia in grado di sovvertire la figura idealizzata dell’io poetico.
FIGURE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
Lui è morto. Lui è morto e piove
e c’è una lampada accesa per sempre
tra i miei occhi:
come la luna,
che si burla
eternamente di Dio.
Così la pioggia stinge i miei tratti
e il mio volto, uguale a quello di Lui,
cade ferito dalla pietra,
dalla pietra della nullità che ferisce e uccide
mentre piove. Mentre piove forse per l’eternità
e la pioggia scava nella terra i tratti di un volto
da tramandare, come il lampione di Londra
dall’aspetto ossidato, che nella nebbia brilla
per tramandare
il cadavere di quella puttana.
TANGERI
(Bar Caffè Tingis, Soco Chico)
Morire in un cesso di Tangeri
col mio corpo baciando il pavimento,
fine del poema e verità della mia vita
dove le aquile picchiano attraverso finestre solari
e gli angeli fiammeggiano le loro spade sulla porta della latrina,
dove la merda parlò di Dio
sciogliendosi
lentamente tra le mani
nell’ora della lettura
e una colomba
cammina sopra la pioggia e sui corpi
d’arabi nudi e selvaggi
e sulla tomba del poema conficca le loro spade
e la morte.
E un bambino puzzolente sfiorando le mie mani
e il collo, mi disse: «Muori,
è una bella città dove morire»,
vedrai come gli uccelli arrancheranno sputando acqua dalle narici
quando sarai morto,
e come Filide m’abbraccia e la città si arrende
dinanzi l’assedio dei condannati,
preferisco vivere all’assedio di nessuno
con una striscia di merda sulla fronte.
APPARIZIONE
Messaggero che entri tra le pareti della mia stanza,
appartieni all’uomo o al nulla?
Io posso solo raccontarti il vangelo
della vita, raccontarti
di quando sei caduto e non riesci più ad alzarti,
allora bacia il suolo sacro
e se sei uomo, ascolta i lamenti degli schiavi
che chiedono di vivere reclamando
l’elemosina della vita con musiche soavi,
nella stanza dove la mia anima
si contorce inferocita come un serpente,
chiedi ai dormienti di vederla
desta e infradiciata d’eternità,
coi passeri che ci svolazzano sopra
e scossa dal latrare di un cane
che dice: guarda, uomo caduto, guarda
il mattino che risorge pronto alla tortura,
anche quando la tua anima che sa d’escremento
finge d’essere una rosa e la vita
tra le pareti crudeli di questa stanza,
uguali alla cella di un condannato a morte
e coi giorni che rinnovano la sentenza,
ti fa dire: appartieni all’uomo o al nulla?
Io posso solo raccontarti il mio vangelo,
quando nessuno ti solleverà dopo la caduta,
trasformato in ombra, in nulla
e bocca che gli uomini calpestano,
una feccia offerta in palmo
di mano a uomini e lupi
dai denti protesi, che castrano il poema
se qualcuno entra nella stanza buia.
*
Poesie tratte da Contro la Spagna e altri poemi non d’amore (1990)
09/10/2020
