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All’alba, negli inverni, il sinsigallo attraversa i cieli più grigi, e porta sulle spalle un piccolo albero azzurro, che va a piantare su certi terreni scoscesi, franosi da anni e pencolanti, che tutti credono persi. Dopo poco tempo, dal piccolo albero nasce una boscaglia fitta, nutrita dal canto del sinsigallo appollaiato tra i rami.

I carrubi stupiscono: la pietraia fangosa dove andavano a gettare i sogni infranti e le speranze maciullate è diventata un bosco, nel quale non osano avventurarsi. Si accampano in basso, sul limitare degli alberi, e per non sentire il canto che proviene dalla sovrastante verzura si mettono grossi vermi negli orecchi, poi se li incastrano dentro, e restano lì per ore, come attoniti, e sempre irosi.

Se un carrubo, stremato, si addormenta, si risveglia circondato di minuscoli fiori. Per lo più, allora, impazzisce, e si rotola sul terreno gridando, finché i suoi compagni non lo finiscono con le catene e le mazze.



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Rossa è la casa dei carrubi, e qualcuno dice sia rossa di sangue. Girano brutte storie, di gatti squartati, pecore scomparse, coltelli. Ma si tratta di leggende; rossa è la casa dei carrubi all’estremo, e un carrubo la ridipinge spesso, per oscuri motivi che non saprebbe neppure spiegare. Ma dentro, le pareti nude sono brunite dal fumo e dall’untume, e macchie verdastre scendono dagli stipiti. Spesso il carrubo non vive quasi nella casa, ma ci passa unicamente i brevissimi istanti che lo conducono dalla porta alla cantina buia, dove giace abbruttito dal vino sulla nuda terra. Soltanto laggiù, dove la luce della luna e delle stelle non penetra, e dove i muri stillanti umidità e muffa attutiscono il canto del sinsigallo, soltanto là sotto il carrubo conosce qualcosa di simile alla quiete dei ragni.

In una di queste case rosse di fuori e cupe di dentro entra il sinsigallo. Deserta, è la casa, come abbandonata: il carrubo batte la città in caccia, strascina catene e punte. Il sinsigallo canticchia sottovoce, finché una parete di fondo si fa candida. Lì scrive poche parole con un inchiostro d’indaco. Nel cuore della rabbia, nel cuore dell’odio: qui spunta la luce dei fragili, sopravvive l’ultima dolcezza, l’improbabile.

Molte ore più tardi, il carrubo esausto e deluso ritorna alla sua rossa casa. Vede sulla soglia due piume azzurre, coglie sul tetto un guizzo luminoso. Quando entra, contempla le parole che corrono sulla parete. Poi comincia a gridare e impazzisce. Lo troveranno in cantina i suoi compari, il giorno dopo, la bocca storta in una smorfia d’orrore.



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... capitato lì per caso all’uscita da un dedalo

in una assolata città o cittadina. Saliva

dall’ala di un vecchio palazzo una musica d’archi

e una voce cantava, cristallo, sorgiva.


Ti eri perso, poi ritrovato, poi ancora perduto.

Quella strada sembrava dire non illuderti, vai

nella polvere, vai. Non avrà mai fine. Un canto

appare e scompare. Un ritmo. Vai avanti, cammina.

Fabio Pusterla (1957) insegna letteratura italiana a Lugano; vive tra la Svizzera italiana e il Nord Italia. È autore delle raccolte: Concessione all’inverno (Casagrande, 1985) e, per Marcos y Marcos: Bocksten (1989); Le cose senza storia (1994); Pietra sangue (1999); Folla sommersa (2004), Corpo Stellare (2010), Argéman (2014), Cenere, o terra (2018) e Tremalume (2022). Del 2009 è l’antologia Einaudi Le terre emerse. Poesie 1985-2008; cui ha fatto seguito Da qualche parte nello spazio. Poesie 2011-2021 (Le Lettere, Firenze, 2022). Ha tradotto fra le altre l’opera di Philippe Jaccottet. I testi qui pubblicati sono tratti da Sinsigalli (con gronchi, carrubi e mestizzi) (puntoacapo, 2024).



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Immagine di copertina: Grotta e Carrubo, la ‘casa-rifugio’ della designer Margherita Rui a Scicli, in Sicilia


20/06/2024


Nuovi versi

DA “SINSIGALLI”
DI FABIO PUSTERLA

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