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Incominciare nell’osservanza della parola; insistere a far nascere la ferita del senso; accertare, in anticipo, l’equivoco, l’inadeguatezza di ogni resoconto, e il filo d’oro del legare insieme i postumi del transito: «questa mia mano, che è della stessa terra della memoria». Franco Ferrara (16 marzo 1935 – 23 gennaio 2014) è stato poeta di versi «senza mendicherie di plauso o pitoccando governi, potentati, costanzesche adunanze d’osti, mimi, parola», [...] ha scritto nel secolo scorso quella che oggi qualcuno potrebbe definire, con termini prestati alla più prossima attualità, una poesia dell’Antropocene [...] che passa da sempre attraverso la devastazione del linguaggio per farlo ricominciare [...]. Questi versi di trapasso e olocausto, di transumanza e leggenda, dove s’incontrano «il corallo, il falco, la rosa, la locusta», il punto di mezzo e la dismisura, il nanometrico e il planetario, schiodano l’umano lettore dalla sua grossolana centralità. E dunque, aveva davvero ragione Rubina Giorgi quando notava che l’urgenza assoluta di Ferrara era quella di «spogliarci dell’uomo umano»; per farne altro.


Dalla postfazione di Giorgiomaria Cornelio



***


[...]

Forse l’assenza è la sorpresa di un’erosione non proprio calcolata

o solo in parte considerata

nel malinteso che è il nostro conto

dei giorni e delle azioni


Una morte che contravviene a se stessa

se pur nella sembianza improvvisa della morte


Una musica non percepita

Un silenzio non ancora afferrato

o non del tutto afferrato

o consumato distrattamente


Una porta che sbatte sulla parola appena pronunciata

(perché la parola integra la presenza.

Obbliga a entrare nella presenza.

La parola è il corpo stesso della presenza

sebbene ogni presenza oscilli nel vento breve di una foglia

e ogni parola disperda la propria luce

nel letto deserto di un’assenza

e nel gelo di chi ha donato a tal punto

da credere di non aver mai donato).

[...]



***


Come in questa gran sera di tamarindi

(parlandoti);

– o lungo la costa –

il giorno che il mare aveva indossato i tuoi colori

e avevi scelto un relitto per scendere nelle urne del vento

e cullarti nei vascelli azzurri del tuo sogno;


il giorno che mia madre varcava l’orizzonte del tempo

e tu raccoglievi la mia vita intera

nel cavo della tua mano

e camminavi con gli occhi socchiusi

sopra la sabbia

e dicevi che non poteva essere quella, la sabbia,

perché quello era l’odore del mare

e che saresti volata con me, un giorno [...]



***


[...]

Non dire. Al posto che dire in un certo modo

Mostrare l’altro volto della luce vedendo ritrattata o confusa

la luce di ciò che è stato detto

o di ciò che non si è saputo totalmente dire


E immergere mille volte le dita nel silenzio prima che una sola sillaba

Precipiti ancora dal costato

della nostra febbre.

[...]

Franco Ferrara (Roma 1935 – ivi 2014) è stato esploratore, archeologo e poeta, nonché critico d’arte e fondatore di riviste letterarie. Ha pubblicato in vita oltre venti libri di poesia e lasciato incompiuto un romanzo comico-fantastico dal titolo Ritorno alle Indie meridiane. Il cielo era già in noi (Argolibri, 2023) raccoglie alcuni tra i suoi ultimi lavori.



*

Fotografia © Polly Alderton


07/09/2023

Nuovi versi

ANTEPRIMA DA “IL CIELO
ERA GIÀ IN NOI” (ARGOLIBRI)
DI FRANCO FERRARA

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