di Alfonso Guida
Quando scrivo, sempre, cado in preda a quella che Thierry Metz chiama «l’ipnosi del nudo». Non è un vero poeta chi non si lascia condurre da Venere o dal vigore del David, dalle natiche, dal mondo meno esplorato di tutti: l’ano.
C’entra tutto con la poesia. Tutti gli uomini e tutti i cosmi hanno un fondo di poesia molto sotterrato che neppure una buona analisi talvolta fa affiorare. Aprirsi a tutto, non escludere niente. E così ho fatto. E per questo, dopo la storia d’amore con una donna, la psichiatra mi disse: «Ora sei un essere compiuto».
È vero, ma è l’avvolgimento totale della bellezza a darmi in pasto quotidiano alla poesia. Questo soffermarmi sul culo di Venere Callipigia e allo stesso tempo sul culo del David mi ha dato la felicita più profonda: la vita che trovo nel seme del maschio e nelle acque salate della femmina.
Incarno un’opera letteraria più che una vita umana. Di qui il mio dramma e la mia solidità di pensiero: il Contrasto, la Guerra, il voler obbedire contemporaneamente a due contrari rende un uomo e la sua scrittura assoluti. Forse ciò non vale per tutti; per te, no, non vale. È questione di natura, indole, carattere, temperamento, vista.
Io ho cominciato a sentirmi quieto dopo il confronto sessuale tra maschio e femmina. Del tutto casuale. Ecco la bellezza: mollare il destino e tenere la porta sempre aperta al caso. Tutte sono poesie d’occasione. La vita è generosa, siamo noi che abbiamo paura di ciò che ci offre trattandosi spesso di una visione di noi capovolta e non abituale.
C’è una distinzione a malapena percepibile tra i viventi e i minerali, tra il sesso e la pietra. Tutto può passare attraverso il bello, dalla vita all’opera, da una nuit fauve a una preghiera.
Non c’è grande margine, quando la bellezza si fa ostensione, tra chiesa e lupanare, tra l’estasi di Santa Teresa del Bernini e la vita coitale e disordinatissima di Caravaggio, che non sarebbe mai stato Caravaggio se non avesse avuto la temerarietà di conoscersi in ogni sua parte: il genio pittorico, il bevitore, il plurisessuale, l’assassino.
La bellezza è tutto questo nel suo insieme. Non si pensa alla Madonna annegata senza pensare a chi l’ha realizzata.
La poesia è salto nel buio, nell’orrido. O muori sfracellandoti, come Nadia Campana o Beppe Salvia, o muti, ti offri a uno sradicamento del tuo essere per sostituirlo col divenire dell’essere stesso.
Fare amicizia con l’abisso, a volte.
Spalancare una lunghissima ciotola
di neve, l’arcobaleno infittisce
la zona militare, la infittisce
di certe acute dissolvenze il cui attimo
cieco, d’ansia o riposo,
copre mortalmente i colori, il giallo,
l’estrazione dell’indaco. Non basta
gridare. Devi allontanarti a piedi
nudi, lasciare le scarpe sul margine
del prato, entrare in comunione, sotto
specie di luce eterna, con la morte
che affonda l’infinito e l’impossibile
tra le buche del sorgo, in predizione
fatua, in presagio continuo. Aver paura.
Ma se tutto torna è cieco ogni fragile
profumo di pioggia, le labbra tremano
nell’acqua. Il fiume senz’acqua, il cammino
senza terra: ogni cosa avrà mancanza.
*
Immagine di copertina: Pan e la capra (rinvenuto nel 1752 nella Villa dei Papiri di Ercolano), Museo archeologico nazionale di Napoli
26/10/2021
