di Alfonso Guida
Un vero poeta non mura le sue aperture sul mondo. Di questo prende tutto. Il vero poeta è onnivoro. Penna non ha escluso gli orinatoi delle stazioni e la «platea losca» dei cinema porno e Genet non ha escluso dal suo Canto d’amore la lordura. Un vero poeta impasta accogliendo.
Genet ha scritto poemi stellari, lunari, di una tersità d’animo pari a un candore mai perduto, soffermandosi su cose apparentemente disgustose o capaci di suscitare ribrezzo solo nell’uomo che non ha ancora accettato la sua stessa natura.
Mi colpì una frase terribilmente vera di Genet (sono convinto che il vero poeta sia ermafrodito, mercuriale e venereo, membro per dare, ano per ricevere; credo sia una necessità sperimentare le divergenze dell’eros e del principio vitale di piacere per tutti): «Io non avrei mai potuto avere una sensibilità da scrittore se non fossi stato omosessuale».
Alla luce delle nuove conoscenze neuropsichiatriche e psicanalitiche, penso che l’uomo non debba limitarsi a riconoscere la bellezza, gesto facile, semplicistico, da poco. L’uomo deve sperimentare la bellezza, negare la negazione, far emergere fioriture spaventose da sé.
Ecco perché credo oggi non ci siano più poeti. Sono aumentate le paure, le paure erotiche. La paura è nemica della bellezza come la cultura, come ogni prodotto culturale. Si deve solo aprire la finestra a Gabriele, maschio o femmina che sia, e lasciarsi spaventare, lasciarsi sedurre dallo Spavento che è divino e porta in sé il suono dei coribanti, l’animalità del sileno. Mancano poeti perché mancano vogliosi conoscitori di Dioniso. Apollo rassicura tutti, tutti pensano, rendendo ipertrofico il razionalismo, e tutti finiscono per allontanarsi da sé, dal fiume, dalla follia che è la vita stessa nella sua zolla primigenia.
Foucault, con un linguaggio garbato e borghese, rivolgendosi ad un pubblico borghese, ci ha dimostrato, annali storici alla mano, documenti scientifici alla mano, come l’uomo si sia sottratto alla bellezza sottraendosi alla spericolata indistinguibilità, tenuta purtroppo sempre a freno.
Non tutti per fortuna. In Francia abbiamo avuto una miriade di veri poeti. In Inghilterra ebbe un modus vivendi da vero poeta il Wilde segreto, nascosto, quello che in Algeria pagava i ragazzini nei viaggi con Gide. In Russia Marina Cvetaeva più di ogni altro ha sperimentato l’ampiezza e l’empietà della vera vita. Sappiamo del suo matrimonio infelice e dei suoi fervori per Sofija Parnok. In Italia grandi poeti nella vita e nell’abilità di viversi a fondo non essendo che sé stessi sono stati Pasolini, Penna, Bellezza, non certo gli omosessuali omofobi Palazzeschi e Gadda. Cosa ho voluto dire? Che la vera poesia abita nelle locande e nelle bettole del porto di Alessandria d’Egitto, tra le pulci e le stanze in penombra di Kavafis, occupa zone e strati sottostanti addirittura l’inconscio. O si è omosessuali e decisamente perversi (Lacan diceva, a ragione, che l’omosessualità è una perversione) o si è folli.
Credo il vero poeta sia il più vicino alle brutalità e alle brutalizzazioni hitleriane degli ‘esseri mitici’ di Freud: la caverna belluina degli istinti, delle compulsioni, dell’antilogica, dell’alogico, del teurgico, del desiderio di vita che nascondeva la distruzione sommaria di Sade. Fu proprio Pasolini, con molta acuzie, in una delle sue ultime poesie, a parlare della «Destra che è in tutti noi». Lo ha capito un anarchico reazionario come Morselli. La bellezza è solo nudità. Richiede corpi nudi che escretano. Anche la morte è e dovrebbe essere destino senza ornamenti: alla terra si torna nudi, tutt’al più avvolti in tre lenzuoli bianchi di cotone massiccio come fanno i musulmani.
La bellezza, oltre che non distinguere i generi, richiede pure stanze d’albergo a ore. Ricordiamo la prostituzione del vero poeta che nasce dall’ospitare i casi, dal fottere il destino creando e bazzicando labirinti, giardini suburbani abbandonati, i ghetti sessuali di una città di notte.
I poeti occupano delle cose il lato nascosto.
*
Fotografia © Margherita Moscardini