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Fuoricampo

IMMERSIONI ED EMERSIONI.
NOTA ALLA POESIA “CAMERETTA”
DI STELVIO DI SPIGNO

di Federico Migliorati

È una discesa dentro il sé più profondo, nella quotidiana nostalgia di un passato, di persone care ormai scomparse, di vite mozzate sul limitare della maturità, di slanci del cuore, quella che affronta il poeta napoletano Stelvio Di Spigno in Minimo umano, bella raccolta di versi recentemente edita da Marcos y Marcos e che la densità espressiva rende quasi un poema. Realtà e immaginazione si compenetrano in quest’opera che nulla lascia al caso facendosi apprezzare non solo per la nuda emozione consegnata al lettore, ma altresì per il registro lessicale e stilistico che denota una pervicace attenzione alla parola, così banalizzata al giorno d’oggi e pertanto meritevole d’essere ‘blandita’ con cura.

Prendiamo, a mo’ di esempio, Cameretta, una delle poesie centrali della silloge che reca in esergo una citazione del Petrarca e che affonda nei reconditi flussi della memoria e della fantasia. «Irreale è questa stanza e il sogno che la contiene»: l’incipit ci conduce in un altrove che l’autore, divenuto ormai nel verso parte esso stesso degli elementi naturali, ci descrive in punta di penna. Svaniscono gli oggetti, tutto viene concepito in una luce aurorale, nel dipanarsi di un tempo altro, candido e già lontano, appena rotto dal cacofonico «guaiolare» di cani. Idilli e medaglioni di un’epoca trovano consistenza in questo luogo non luogo: la cameretta è «spazio diventato puro» che serve da cornice, escamotage attinto dal bagaglio culturale. Così le «ore inebriate» assumono la funzione di musica per una danza insistente che allontana il presente, mentre il futuro si stinge in un dolciore malinconico. E ciò che più non è (l’età perduta) viene metaforicamente e plasticamente rappresentato come un rampicante che riannoda i ricordi di solitarie notti con il poeta a farsi piccolo di fronte a una stanza sempre più grande, impossibile ormai da decifrare nei suoi contorni.



CAMERETTA


Irreale è questa stanza e il sogno

che la contiene. Si allarga di notte,

fino a diventare immaginaria, non

si vede più l’armadio, la porta, la vetrata,

il quadro della Madonna col Bambino,

ma un sussurro di foglie e il guaiolare

dei cani, dall’ampia campagna di fronte,

entrano e prendono possesso. La stanza

si fa enorme, sparisce ogni confine

temporale, si vede solo un’età

perduta come un rampicante,

ai piedi del mio letto, dove dormivo solo.

Mi tornano alla mente i desideri,

le azioni del giorno e le avventure

del pensiero. E guardo questo spazio,

diventato puro. La luce della lampada

fa sparire anche me nel suo candore,

ridivento della terra, del vento, del cielo,

poi mi sento lontano e catturato

verso mondi che non possono morire,

e degli anni che restano non vedo più la fine

nella danza di queste ore inebriate.



*

Immagine di copertina: Francis Bacon, Studio per il ritratto, 1977


03/01/2021

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