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Cavolacci riscaldati

POETI BRAVA GENTE?

di Leonardo Tonini

Difende la poesia chi non la ama, chi non la conosce, chi ne ha un’idea superficiale. Come tutte le cose che contano, come la Patria, Dio, la Mamma, la poesia va odiata, per togliere quella patina di finzione, quella pellicola di retorica che sempre portano con loro le cose che diciamo sacre. Ciò che rimane, ciò che sopravvive, è quello che conta. Si comprende come in un tempo di mezze figure (quando va bene) è dura trovare chi abbia con sé abbastanza coraggio di essere iconoclasta. Lo erano Leopardi e il Parini, lo sono i veri grandi, di natura e loro malgrado.

Dice il Leopardi dei poeti che amano leggere i propri testi: «Fino gli scritti più belli e di maggior prezzo, recitandoli il proprio autore, diventano di qualità di uccidere annoiando: al qual proposito notava un filologo mio amico, che se è vero che Ottavia, udendo Virgilio leggere il sesto dell’Eneide, fosse presa da uno svenimento, è credibile che le accadesse ciò non tanto per la memoria, come dicono, del figliuolo Marcello, quanto per la noia del sentir leggere.»


E dice il Parini della moda di scrivere poesie su richiesta:


     Andate a la malora, andate, andate,

     e non mi state a rompere i coglioni!

     Io non vo’ più sentir queste sonate.

     Che vestizioni, che professioni?

    

     Doh, maladette usanze indiavolate!

     Possibil che dottor non s’incoroni,

     non si faccia una monaca o un frate,

     senza i sonetti, senza le canzoni?


     Che debb’io dire? che costei le spalle

     ardita volge ai tre nemici armati,

     ch’alla cella sen va per dritto calle!


     Ch’amor disperasi, e gl’innamorati?...

     E dàlle e dàlle e dàlle e dàlle e dàlle,

     con questi cavolacci riscaldati!


Segno che anche ai lor tempi v’era un marasma di poeti e poca vera poesia. I nostri tempi son forse diversi? Direi di no, mai è stata tanto in auge la poesia, tanto social, tanto proclamata e tanto celebrati i poeti. Anche questo continuo piagnisteo sui libri che non si vendono, sul poeta che non viene ascoltato, sulla diuturna macerazione, sulla sensibilità esacerbata. Sarebbe una buona strategia di marketing se la cosa fosse voluta; invece è il lamento di Narciso.


Il vero amatore è un critico inflessibile, quasi si può dire che odi la poesia e i poeti tutti. Solo dalla critica spietata emerge il vero. Il santo è chi nutre i suoi dubbi, chi non ha paura della discussione, il tormentato, non chi si pasce di una certezza, il fedele cieco, non lo jihadista, il testimone di Geova. Solo lo scavo porta alla luce il ‘porto sepolto’, il vero sentire.


In fondo, si tratta di riprendere in mano concetti antichi come la noluntas di schopenhaueriana memoria. Ma come si fa quando si è poveri? Sì, perché il punto è questo, siamo o ci crediamo (il che è lo stesso) poveri. E i poveri sono ben meschina gente! Primariamente, i poveri è gente impegnata a giurarsi guerra; quindi vivono nel terrore che gli venga tolto tutto, persino la povertà; e infine i loro programmi non superano solitamente la cena. Questi i tre difetti del poeta moderno. La fame del poeta è la gloria, la fame di fama, che oggi – ahinoi – si traduce in visibilità mediatica, e nulla più. Ci fosse qualcuno che lotti per l’eternità!


C’è un bel concetto che Paolo Castaldi esprime e che mi trova consenziente: la sinistra assoluta. Estetismo come esigenza di emancipazione dal bisogno. Come propedeutica all’estremo traguardo delle pretese possibili «ancorare all’intuizione estetica – sempre in anticipo sulle misere chances della vita quotidiana – l’indice di civiltà posto all’evoluzione dell’uomo». Non male.


Che non si parli di decadentismo! Qui la faccenda è morale per il Castaldi, come lo era per Pasolini la «Destra divina» che tanto piace ai grotteschi ‘fascisti’ di oggi e tanto aborre gli ancor più grotteschi ‘comunisti’ di oggi.

Fare attenzione alle parole: indice di civiltà. Pasolini si rivolge al giovane fascista e dice «Difendi, conserva e prega»; sii:


     Dentro il nostro mondo, di’

     di non essere borghese, ma un santo

     o un soldato: un santo senza ignoranza,

     o un soldato senza violenza.


Castaldi per contrappasso trova nell’estetismo, nella perfezione formale, nel porre più attenzione al ‘come’ che al ‘cosa’, un’etica. Se vogliamo una umanità libera dal bisogno, è necessario prima avere ben chiaro che cosa si intenda con umanità libera dal bisogno, come codesta cosa è fatta, come si presenta. Capite anche voi quanto sia distante il poeta d’oggi che sproloquia di sé, è lamentoso, o vorrebbe vaticinare, o è perso in un vuoto desiderio di poesia (il poetame) e che – oggettivamente – non ha la forza culturale per contrastare il proprio desiderio di una visibilità effimera, il fatidico quarto d’ora di celebrità promesso a tutti.


Oggi il poeta si accontenta del pezzo di pane. Mai è stata tanto celebrata la poesia; ci sono riviste a non finire, pubblicazioni a non finire, pagine sui social, poeti social con decine di migliaia di followers. Chi dice che la poesia oggi non viene considerata mente o non sa quello che sta dicendo. Certo, la qualità lascia a desiderare, ma chi se ne importa? Nessuno sa bene cosa sia la poesia e quindi tutto è poesia. È poesia di consumo.


Per la musica uno almeno lo strumento lo deve saper suonare e questo fatto taglia un po’ la cifra dei musicisti; ma i poeti? Oggi si legge poesia americana (mal)tradotta in italiano e la si imita con (mal)destrezza. Oggi vanno di moda le Rupi Kaur e più di lei il suo modo di fare poesia che è esprimere un pensierino da tema di prima liceo andando a capo ogni tanto. I Franco Arminio che scrivono cose che potrebbero starci in una intervista, un parlato abbastanza scialbo, ma che lui mette per iscritto andando a capo prima del margine della pagina: ed è subito poesia. Oggi vanno i narcisisti che parlano solo di sé e della idea grandiosa che hanno di loro stessi e della loro spaventosa sensibilità.


Non vedono più il mondo i poeti. Non c’è il mondo, non c’è una descrizione della natura, del paesaggio, non c’è qualcosa che storna dal pensare comune, non c’è la ricerca di un sentire comune, non c’è estetica, non c’è etica. Si va dagli esercizi di stile per sentirsi dire bravo al credersi ‘poeti’ e fare la questua dei complimenti.


Un aneddoto. Un giornalista si presentò nella casa di Umberto Saba – che era già Umberto Saba, quello che scrisse in metrica imitando i petrarchisti del ‘500 (cfr. «Melanconia mi fu sempre compagna») – e lo trovò nell’orto in canottiera e cappellino da ciclista. «È lei il poeta?» chiese imbarazzato. Risposta sconsolata dell’Umberto: «Purtroppo sì!».


Che poi non è che voglia proporre un modo unico di fare poesia. Come per il cinema, c’è Bergman e c’è Tarantino; in entrambi il cinema si esprime, e in mille altri modi. Per alcuni dopo Bergman c’è il diluvio, altri lo trovano insopportabile, altri ancora dicono decadente Tarantino, ma in qualche sequenza il cinema è innegabile. Così i poeti, e come con i poeti c’è il vero cinema, la fuffa commerciale e la «cagata pazzesca».

Il bello è difficile, difficile è aprire nuove strade, il dibattito è infinito, sappiamo che la creatività è ripetizione senza concetto, che gli antichi sono qui con noi, a indicarci la strada, non per essere copiati, ma per essere seguiti. Vi lascio con un poeta di oggi, bravo. Ci sono anche oggi i bravi poeti, bravi perché capaci, bravi perché coraggiosi.


     Nascondere in un angolo un sorriso

     per i giorni balordi, trattenere

     il silenzio e parlare a tanta gente,

     portarsi in giro un sacco di speranze

     per quando tutto cade. Tutto accade

     e nulla lascia addosso in chi sorride.

     La vita ha un passo lungo e prende piede.


     (Andrea Casoli)



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Immagine di copertina: Marco Gerbi, Domande senza risposta, 2015


22/04/2021

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