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Title

Fuoricampo

COSA È ACCADUTO?

di Federica Maria D’Amato

For poetry makes nothing happen

W. H. Auden


Nel 2017 scelsi di ritirarmi (quasi) completamente dalle pubbliche ‘scene letterarie’ a causa di motivazioni eterogenee: i cosiddetti problemi personali, un lavoro che chiedeva dedizione assoluta, la necessità di prendere una salutare pausa dall’esporsi, il bisogno di tornare a studiare con rigore le letterature senza distrazioni e, soprattutto, una strana forma di ricusazione verso quel mutamento in atto del fare, tentare, scrivere poesia. Notavo, in modo disturbante, che le genuine prassi di dialogo e selezione inerenti alla promozione di dettati poetici autentici andavano sempre più derivando verso i ferali cortocircuiti del solipsismo e della superficialità. Per dirla in modo meno astratto, mi rendevo conto che grazie al vomito egoico di digitazioni studiate su di un social si poteva giungere ad essere appellati come poeti, acquisire una tale considerazione. Ormai le case editrici iniziavano a pubblicare chi vomitava di più e meglio, e non chi vomitava meno e scriveva meglio. Segno dei tempi che s’aprivano, vado a memoria, furono il successo social e di vendite dei lacerti di Franco Arminio, il guadagnare terreno di lit blog divulgativi poi diventati veri e propri marchi editoriali, e l’entrata sulla rigorosa scena della pagina di performance di poetry slam che più tardi si sarebbero autonomamente dichiarate di far parte della guerresca schiera della poesia sperimentale.


Scelsi di ritirarmi da tutto questo. Non volevo caderci anch’io, non volevo violentare me stessa, segnatamente non volevo accelerare, con le miei eventuali vomizioni, quel processo. Notavo anche che i ‘grandi’, i poeti maggiori, e alcuni amici coscienziosi e periziati, cedevano alla tentazione di esserci a tutti i costi. Esserci, esserci, esserci... e io, intanto, mi chiedevo: «Ma dove?». Questa seconda domanda si annida nella prima del titolo – cosa è accaduto? Ad oggi non ancora sono in grado di darmi quelle risposte valide che non siano il mero sfogo di una quasi quarantenne conservatrice e smarrita.

Negli ultimi mesi del 2022 è risorto in me il bisogno di essere-con la poesia attraverso la volontà di pubblicare alcuni testi, e da qui son ripresi una serie di colloqui con amici, maestri, i cari interlocutori di sempre. Con incredula amarezza ho appreso che quel suddetto processo di èmesis non solo ha consumato l’intero suo ciclo virulento, ma che addirittura a esso è subentrato un eterodosso sistema di coorti abili a camuffarsi, istintivamente, dietro l’agnello della cosiddetta ‘poesia giovane’. Così, oggi, volendo riferirmi alle sole dinamiche dei premi letterari più prestigiosi, noto uno iato sconcertante: quasi la maggioranza dei concorsi, sebbene aperti a ‘tutti’, vede tra le scelte dei finalisti poeti blasonati che vanno dai sessant’anni in su e, dall’altra parte, prolificano in modo imbarazzante guiderdoni che promuovono l’acerbo balbettio poetico di scugnizzi che a vent’anni han già all’attivo due o tre raccolte poetiche. Ritengo che, da entrambe le parti, vada a consolidarsi una tensione che non ho timore di definire intellettuale: i baroni continuano a fare i baroni, lavandosi la coscienza con la farsa della promozione della poesia giovane; gli scugnizzi credono di essere ‘arrivati’, credono di essere finalmente poeti o addirittura critici; puro truismo intuire che tutto ciò comporterà una devianza editoriale che nulla avrà a che vedere con lo splendore del «Corriere dei Piccoli». E chi resta in mezzo? I ‘poeti delle terre di mezzo’, obviously, i poeti della waste land, coloro che probabilmente ora stanno scrivendo la lingua e la significazione poetica che serve agli animi di questo paese devastato; se ne stanno in disparte in attesa di diventare vecchi perché giovani lo sono stati, ma non è bastato: non andavano di moda, non facevano da capro espiatorio a nessuno.


Se mi soffermo sulle uscite editoriali di poesia degli ultimi sette anni, le considerazioni si fanno ancor più atterrite. Molti over pubblicano rimasugli o egotiche antologie, dei giovani non v’è un verso che resti inciso nella memoria (di quelli che ti porti dentro da mane a sera): tutti scivolano via dalla memorabilità come il tiktok che spiega la skin care serale contro l’invecchiamento (e non è un caso che molti sedicenti poeti siano diventati anche abili tiktoker). I punti di luce assoluti sono pochi – e forse è sano che così sia –, pubblicati da piccoli, coraggiosi editori la cui posticcia artigianalità sembra essere l’unica «maglia rotta nella rete, un anello che non tiene» (Montale dixit).

Le collane italiane storiche dedicate alla poesia stanno dando spazio a testi carenti di rigori formali e contenutistici, testi che sembrano provenire da un post su Facebook o da una psicosi emulata male; testi che dispiacciono perché aridi e assenti da sé medesimi, testi non mediati, testi non studiati, testi non letti dalle letterature che li avrebbero salvati, testi-effetto, testi che non incontrano nessuno. E non voglio addentrarmi nelle recenti antologie poetiche... Mi chiedo chi occupi certe scrivanie in certi posti cruciali di certe case editrici e di certe riviste. E di certe università, aggiungo.

Orbene, allo stato attuale mi sembra che due disfacimenti convergano verso la medesima deriva: se da un lato la critica sta perdendo il proprio potere endocrino nei confronti del corpo letterario (A. Berardinelli), dall’altro il sistema editoriale, maggiormente in ambito poetico, non sta facendo più il proprio lavoro: dare spazio, nutrimento e regola alla lingua nel suo aspetto eversivo ovvero culturale.

Siamo, ormai, nell’ambito dell’operetta.


Dunque, mi chiedo e a voi chiedo: cosa è accaduto?



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Immagine di copertina: murale di Nemo’s. Sarà esposto nei locali per le residenze d’artista del Museo Novecento di Firenze


14/03/2024

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